“Siamo ufficialmente entrati nella stagione della primavera e sono in molti che non vedono l’ora di godersi le giornate più lunghe e soleggiate”. Così abbiamo salutato la primavera dello scorso anno arrivata con un po’ di anticipo, con la gente che camminava per le strade, sempre con il costante ritmo frettoloso e occhio distratto. La primavera è arrivata ma per le strade non c’è il dinamismo primaverile dello scorso anno, non c’è l’uomo distratto e indaffarato. C’è una inquietante quiete che viene tagliata da una sirena di qualche ambulanza e da un auto che invita a stare in casa. La primavera che ci saluta non è quella dello scorso anno, dei profumi e dei colori, della gioia di aver lasciato il freddo, di spalancare le porte alla luce e al calore del sole. Gli animi sono tristi, la paura ha preso il sopravvento, la televisione fedele compagna di questi settimane, si sforza a produrre ottimismo, alternando qualche timida scena di felice allegria registrata in passato, con le immagini angoscianti delle colonne militari che da Bergamo si avviano verso destinazioni diverse per garantire ai defunti una dignitosa sepoltura. Il Covid-19, creatura infida e devastatrice di coscienze, ha distrutto la primavera, la luce che essa emana e che illumina le relazioni umane. Ha emarginato gli uomini, segregandoli in casa, ha diviso famiglie ed ha riportato tutti allo stesso livello. Ad un tratto l’uomo ha compreso la sua impotenza, il suo essere debole di fronte al nulla, di fronte all’invisibile.
Nei momenti difficili ci si affida alla fede e alla preghiera, alla speranza della scienza, che arrivino cure e vaccini per debellare il nemico che si nascondo nel corpo, che distrugge l’anima e la mente.
Il Covid-19 ha fatto ritirare l’uomo dal suo modello di vita: questo microrganismo dalle dimensioni insignificanti e dalla nocività infinita per il momento ha messo in crisi l’uomo, le sue relazioni, il suo stile di vita. L’uomo è stato costretto a battere la ritirata, a rinchiudersi in casa per difendersi, pensando ai propri simili che negli ospedali combattono per la sopravvivenza, aiutati dallo sguardo, dalle mani amiche dei camici bianchi. Nelle strade poche auto, quelle dei vigili, dei carabinieri della polizia, della finanza, di quelle forze-risorse che in una primavera normale non avremmo apprezzato.
La primavera è entrata e le porte si chiudono, la calma prende il sopravvento e la fretta scompare, il tempo acquista il suo valore reale, il suo vero significato: nessuno pronuncia la retorica frase non ho tempo per venirti a trovare, per godere un momento di convivialità.
L’esterno è disabitato dagli uomini, il verde è diventato un colore da osservare dalla finestra, la luce una speranza.
Tutto tace. Anche la primavera è triste e piange le sue creature. Perché madre natura non può essere felice di un pianto di una madre, di una figlia, di una comunità che in modo subdolo si è vista portare un numero troppo elevato di persone. E mentre la mente, distesa e abbandonata alla speranza di un domani diverso, scorgiamo dalla finestra che altre creature senzienti si appropriano degli spazi lasciati liberi dall’uomo, si rincorrono felici, si posano e si fermano senza avvertire la paura e la minaccia dell’uomo.
L’uomo, in questa primavera non proietta paura e minacce. Spaventato dalle minacce di un microrganismo si è rinchiuso nelle proprie abitazioni, aspettando che la ricerca scientifica, la sua intelligenza, il suo talento prendano il sopravvento, riconquistando quella libertà che la natura stessa ha regalato all’uomo. La natura, può negare alle sue creature la libertà di non vivere una primavera, di far saltare una stagione, ma non priverà mai il piacere di ritornare nei campi, nelle strade e nelle città.( Franco Garofalo)