28 dicembre 1908, terremoto calabro-siculo. Considerato uno degli avvenimenti più funesti del XX secolo, il sisma di magnitudo 7,1 MW, danneggiò gravemente la città di Messina e Reggio Calabria. Sotto le macerie persero la vita metà della popolazione della città di Messina e un terzo della città di Reggio Calabria.
A distanza di 111 anni dal sisma, che si verificò alle ore 5:20, la Città di RC ha ricordato le i migliaia di vittime del terremoto che distrusse la città Messina e altri centri del circondario.
Una data storica, quindi, indelebile per lo Stretto che separa divide Scilla e Cariddi. Il terremoto del 1908 fu uno dei più forti sismi, accompagnato da un impressionante tsunami che contribuì a fare il resto con onde sino a 13 metri di altezza.
Le località più colpite furono Pellaro, Lazzaro e Gallico sulle coste calabresi; Briga, Paradiso, Sant’Alessio e fino a Riposto su quelle siciliane.
Nella relazione al Senato del Regno sul terremoto calabro-siculo del 1908 si riporta: “un attimo della potenza degli elementi ha flagellato due nobilissime province – nobilissime e care – abbattendo molti secoli di opere e di civiltà. Non è soltanto una sventura della gente italiana; è una sventura della umanità, sicché il grido pietoso scoppiava al di qua e al di là delle Alpi e dei mari, fondendo e confondendo, in una gara di sacrificio e di fratellanza, ogni persona, ogni classe, ogni nazionalità. È la pietà dei vivi che tenta la rivincita dell’umanità sulle violenze della terra. Forse non è ancor completo, nei nostri intelletti, il terribile quadro, né preciso il concetto della grande sventura, né ancor siamo in grado di misurare le proporzioni dell’abisso, dal cui fondo spaventoso vogliamo risorgere. Sappiamo che il danno è immenso, e che grandi e immediate provvidenze sono necessarie”.
Il futuro premio Nobel per la letteratura Salvatore Quasimodo (che all’epoca aveva 7 anni) si trasferì a Messina tre giorni dopo il terremoto, perché il padre capostazione fu chiamato a dirigere il traffico ferroviario in questo luogo. Visse per diversi mesi su due vagoni merci e successivamente rievocò quella triste esperienza nella poesia Al Padre
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