Abbiamo l’onore di ospitare un articolo del Prof. Eugenio Maria Gallo, che ci trasporta nelle atmosfere delle serate estive della sua infanzia, evocando ricordi preziosi e riflessioni profonde. Con uno sguardo nostalgico e affettuoso, il Professore ci racconta di Jugale, il leggendario protagonista delle “rumanze” popolari calabresi, e ci invita a riscoprire un patrimonio culturale che merita di essere trasmesso alle nuove generazioni.
“A PROPOSITO DI JUGALE” di Eugenio Maria Gallo
Mi è capitato, più volte, in queste prime sere di caldo, di tornare con la mente ad altri tempi e ad altre sere estive. Sì, quando gli anni cominciano ad essere un po’ tanti sul groppone, fin troppo spesso e ben volentieri, giunta la sera, gioco forza si corre con la mente al passato, talora agli anni ruggenti, altre volte agli anni dell’infanzia. Così è stato, per me, in queste prime sere di caldo soffuse d’un dolce profumo di tigli. Sì, i tigli della mia giovinezza e, soprattutto, della mia infanzia. Seduto sul terrazzino di casa, guardando il cielo mi sono incamminato, con la mente, per altri cieli e per altre sere quando, non essendo ancora entrati in campo la tv ed il televisore, mi sedevo con i miei sull’uscio di casa, che si affacciava su un piccolo orto, ad ascoltare le tante fiabe di mia zia, le nostre “rumanze”, restando fino a tardi a sentire e ad immaginare le azioni di “Furbetta”, di “Za Matella”, e di maghi e di fate, che mi lasciavano estasiato al pensiero dei loro prodigi. Erano momenti di famiglia e di racconti, sere d’estate sull’uscio di casa a ridosso dell’orto, o sere d’invereno accanto al caminetto. Memorabili quelle serate e memorabili le azioni ed i protagonisti di quelle “rumanze”, racconti popolari su cui chi narrava, lavorando di fantasia, sapeva intrecciare anche antiche vicende del luogo. Uno dei protagonisti di quelle serate, uno che primeggiava su tutti, era Jugale, il mitico Jugale. Chi non ricorda la battuta della madre “tìrate ‘a porta”, cioé chiudi la porta, e Jugale che, interpretando alla lettera la richiesta della madre, stacca la porta dalle ante. E noi bambini a ridere. O, ancora, e questa mi faceva letteralmente scoppiare di risate, sentire Jugale che, aspettando tanto la pioggia, al sopraggiungere di qualcosa di liquido, di scatto affermava: “acqua santa chi Diu ne manna”; e dire che non era acqua piovana, bensì orina umana! Le sue avventure scritte sul finire dell’800 da Antonio Chiappetta, hanno costituito, a lungo, il leit motiv delle mie serate di bambino e delle serate di tanti altri bambini. Scriverne, oggi, forse per i miei coetanei può costituire un tuffo negli anni della propria infanzia, ma non sono capace di immagine cosa possa significare per i bambini di questi primi decenni del XXI secolo. Hanno altri miti ed altri eroi e, poi, ci sono ormai la televisione e tante altre forme di comunicazione, nonché tanti altri canali di ricerca. Sarebbe, tuttavia, importante provare ad offrire loro qualche pagina del nostro Jugale, del mitico protagonista delle nostre storie d’un tempo. Ma chi era Jugale? Era ed è il protagonista dell’opera dialettale calabrese, forse più famosa, l’opera scritta da Antonio Chiappetta, che la riteneva un semplice esercizio letterario, e data alle stampe nel 1899. Jugale era lo sciocco per antonomasia, il furbo stupido, almeno così lo considerava da bambino. Una cosa, però, non sapevo allora; l’avrei scoperta anch’io un paio di decenni dopo, leggendo il saggio del dottor Pasquale Rossi Le rumanze ed il folk- lore in Calabria. “Un mondo a sé – scrive il dottor Rossi – nel ciclo leggendario son le rumanze di Jugale, la nostra maschera, se così posso esprimermi, pervenuta a noi, come opina il prof. Dorsa, dall’India. Egli è la personificazione del contadino mezzo semplice e mezzo furbo, che ora è gabbato, ora gabba gli altri: un tipo di mattacchione ridanciano e di furbo di tre cotte” (1). Il personaggio Jugale, protagonista di tante avventure e figura che somiglia tanto al Giufà siciliano, ha allora origini indiane. Come personaggio e carattere, pertanto, non sarebbe autoctono. Ed ecco, in merito, cosa scrive il Dorsa: “Tra le ridevoli figure è un Jugale, tipo leggendario dell’uomo balordo e fortunato nel tempo istesso, identico al Giufà, Giuxà o Giucà dei Siciliani, e del quale vuolsi trovare la fonte nei racconti indiani del Panschutantra” (2). Il nostro Jugale, tuttavia, a prescindere da tutto, è stato il simpatico protagonista di tante serate della mia infanzia ed è stato ed è una figura molto interessante e molto importante della nostra letteratura. E’ un peccato che, oggi, non faccia più parte dei racconti per i nostri bimbi. L’augurio è che il testo di Antonio Chiappetta, che merita tanto dal punto di vista narrativo e meriterebbe, altresì, di essere anche studiato sul piano sociologico, possa essere ripresentato ai bambini di oggi e possa essere proposto ad un pubblico anche più vasto di quello calabrese.
Eugenio Maria Gallo
Note
- Cfr. Dott. Pasquale Rossi, Le rumanze ed il folk- lore in Calabria, Tipografia Raffaele Riccio Cosenza 1903, pp. 47- 48.
- Cfr. Vincenzo Dorsa, La tradizione greco- latina negli usi e le credenze popolari della Calabria citeriore, Cosenza 1884, p. 4, in Dott. Pasquale Rossi, op, cit. nota 1 p. 48.