Quanto incide la cultura, l’educazione, il vissuto di un individuo nella violenza di genere? Da cosa è determinata la violenza di genere e perchè essa viene tollerata anche da persone che hanno un grado di istruzione elevato? sesso debole e sesso forte, sono concetti da attribuire ad un pensiero stereotipato, culturale oppore la violenza dipende dalla natura dell’uomo, dalla biologia, dall’eredità filogenetica..? Diciamo subito che qualunque sia la causa che la determini non porta a scusare la violenza ma smascherarne la primitività affinchè si possa individuare il giusto antidoto per prevenire i devastanti effetti sociali ed umani.
La violenza sulle donne, insomma, non è il destino ineluttabile della specie umana, ma è al contrario un comportamento sociale disumano.
Su questi aspetti soffermerò l’attenzione odierna al fine di fornire un contributo sotto il profilo sociologico,avvalendomi dell’esperienza, dell’analisi dei dati e delle conoscenze.
La violenza, rileviamo subito, contro le donne è una manifestazione di difficile misurazione perché essa sovente nasce e si sviluppa negli ambienti più familiari, in ambiti dove la donna dovrebbe essere più protetta e più sicura. Invece è proprio in questi luoghi che avvengono fenomeni di brutale aggressione, di maltrattamenti e abusi. Tra le mura domestiche la donna si ritrova a vivere in solitudine la sua condizione di disagio, di angoscia che la vede opposta ai familiari o alle persone vicine. La situazione di angoscia che vive si riversa sulla sua stessa condizione di salute psico fisica. Il fenomeno, quindi, rimane sommerso perché spesso è il patner o il suo ex, o un familiare l’autore della violenza episodica o reiterata.
I dati a disposizione dimostrano come le donne separate o divorziate risultino essere un segmento particolarmente a rischio di violenza da parte dell’ex partner: il 36,6% infatti è stata vittima di violenza fisica o sessuale da parte del coniuge o convivente da cui si sono separate, contro una media del 18,9%.
Se si focalizza l’attenzione sugli ultimi 5 anni si rileva come 538 mila siano state le donne vittime di violenza fisica o sessuale da ex partner anche non convivente. In questo gruppo sono 131 mila le separate o le divorziate.
Le violenze subite sono valutate gravi in quasi il 90% dei casi, molto gravi nel 62,9% dei casi e il 45,6% delle vittime ha subito ferite. Oltre la metà (53,9%) ha affermato di aver avuto paura per la propria vita o quella dei figli.
I dati Istat evidenziano le motivazioni per cui le donne sono tornate a convivere con il partner violento, il 37,7% dichiara di averlo fatto perché il partner le ha promesso di cambiare,il 30,2% per concedere al partner una seconda possibilità, il 16,4% per amore. Il 27,6% delle donne con figli dichiarano di essere tornate in convivenza per il loro bene.
Non sempre, comunque, le statistiche forniscono dati precisi perché non sempre la denuncia viene inoltrata, non sempre la violenza viene raccontata, riferita, confidata a terze persone. Molte donne infatti risultano essere state educate a pensare che l’amore passionale debba prevedere anche un possesso e quindi molte giustificano la gelosia, le manipolazioni e le ossessioni in un quadro di condizionamenti educativi che induce perfino ad inauditi senso di colpa.
I dati ufficiali, quelli che emergono da fonti istituzionali, evidenziano comunque che la violenza sulle donne sia purtroppo un fenomeno ancora in crescita di fronte al quale bisogna costruire la cultura della non violenza, iniziando dalla scuola, dalle agenzie educative perché la violenza si combatte educando alla non violenza, attuando percorsi pedagogici che fondano le basi sull’educare alla tolleranza al rispetto del proprio sé e dell’altro.
Non esistono, a mio mavviso, cure che possano guarire del tutto il soggetto violento; esiste la prevenzione ai maltrattamenti, alle bestialità, alle rapine delle dignità, che passa attraverso percorsi istruttivi lunghi e complessi.
Da sociologo ritrovo le radici della violenza nei processi socializzanti che ciascun individuo ha vissuto sin dalla nascita. I processi socializzanti hanno un valore rilevante nelle manifestazioni comportamentali dell’individuo il quale accomoda, interiorizza valori e virtù ma anche forme di violenze che possano manifestarsi nella fase della vita, durante i processi di interrelazione e nei rapporti con i familiari, con l’altro o in gruppo. L’uomo, attreverso i processi socializzanti si trasforma da genotipo a fenotipo; conquista, cioè, l’identità umana che si manifesta con i gesti e con il rispetto dell’ altro. Educare alla non violenza significa educare al rispetto, iniziando dal sè per arrivare all’altro, da osservare come risorsa e non come problema, non come oggetto da possedere ma come soggetto inviolabile nei diritti, conquistati dalla civiltà e dai saperi.
Aver subito o assistito ad atti di violenza, di soprusi comporta dei cambiamenti nell’equilibrio psichicofisico del soggetto in tenera età, negli adolescenti ma non solo. E’ evidente che aver assistito ad episodi di forte aggressività in tenera età, fase in cui la mente non riesce a discriminare il bene e il male, ha delle conseguenze sul comportamento del soggetto adulto. Ricordiamo che la mente del bambino non ha filtri e tutto ciò che osserva viene assimilato producendo e riproducendo scene di violenze vissute. In questo ambito è necessario educare il bambino all’uso della rete dove si annidano violenze di ogni genere oltre a saperi, conoscenze utili alla crescita e alla formazione del soggetto.
Le manifestazioni di forti inquietudini, di crescita di aggressività, disturbo del sonno e altre manifestazioni comportamentali devono far riflettere gli adulti per evitare di consegnare alla società “maschi” violenti che possano in futuro esercitare l’aggressività, la violenza come potere di dominio sulla donna-possesso, fino ad annientarla: il femminicidio.
Ecco perché la ricorrenza del 25 novembre è importante a livello sociale. Perchè è un momento per riflettere, per confrontarsi e parlare di violenza sulle donne e femminicidio. Perché ha la funzione di sensibilizzare, di diffondere la cultura contro la violenza ed ogni forma di maltrattamento nei confronti delle donne.
La civiltà e la cultura di un Paese si misurano sul grado di conoscenze, di tolleranza, di rispetto verso l’altro. La violenza contro le donne nasce dall’educazione e dai processi socializzanti che caratterizzano il vissuto delle persone. Nulla nasce per caso. Dietro ogni manifestazione di violenza ci sono fatti, manifestazioni comportamentali, di vissuti socializzanti, di segnali che non possono essere trascurati. Vanno intercettati, esaminati prima ancora che essi possano manifestarsi in modo cruento e distruttivo. In questo è importante il saper comunicare, denunciare subito per prevenire fatti e avvenimenti che mortificano la dignità della persona, svuotandola dal piacere di vivere la vita in libertà e in piena indipendenza “affettiva”. Ricordiamoci che la violenza viene prima del pensiero. Educare al “buonpensiero” significa costruire una solida barriera per prevenire e reprimere qualsiasi manifestazione violenta.
Il 25 Novembre è la data che identifica una lotta, un impegno costante, continuo, senza tregua contro ogni forma di Violenza sulle Donne.