Il risultato del referendum sulla fusione tra Cosenza, Rende e Castrolibero lascia un segno profondo, non solo per la netta vittoria del “no”, ma soprattutto per l’allarmante astensionismo. Solo il 26% degli aventi diritto si è recato alle urne, rivelando una crisi di partecipazione che dovrebbe scuotere la classe politica ( ammesso che esista una “classe” politica) e stimolare una riflessione sul crescente distacco tra istituzioni e cittadini. I numeri parlano chiaro: a Cosenza, il “no” ha dominato con il 69,48%, lasciando il “sì” al 29,45%. A Rende, il divario è stato ancora più netto, con l’81,43% per il “no” contro il 18,12% per il “sì”. A Castrolibero, il “no” ha raggiunto il 73,81%, mentre il “sì” si è fermato al 25,57%. Complessivamente, il “no” ha prevalso con il 56,81% dei voti (13.166), rispetto al 42,45% del “sì” (9.838).
Astensionismo: una crisi della democrazia diretta
Il dato più preoccupante è la bassissima affluenza, con solo un cittadino su quattro che ha partecipato al voto. Questo fenomeno non è riconducibile a un semplice astensionismo, ma evidenzia una frattura profonda tra “politica e cittadini, tra elettori e istituzioni”. I referendum, strumenti essenziali di democrazia diretta, dovrebbero favorire la partecipazione attiva, ma in questo caso hanno rivelato indifferenza e sfiducia, incrementando dubbi sullo stesso istituto referendario.
A Cosenza, la confusione politica ha amplificato il disinteresse generale: l’assenza di un dibattito chiaro e coinvolgente ha trasformato il confronto in una semplice guerra di slogan, privando il referendum di una visione capace di catturare l’attenzione e l’interesse pubblico. Ne è derivata un’apatia diffusa, su cui non solo i responsabili dei governi locali, provinciali e regionali devono riflettere, ma anche le stesse comunità e gli elettori. Questi ultimi, infatti, hanno rinunciato a esercitare il diritto costituzionale, frutto di conquiste ottenute con sacrifici e sofferenze tramandate dalla storia.
Una campagna referendaria senza visione
L’assenza di proposte concrete su pianificazione urbanistica, infrastrutture e servizi ha contribuito al fallimento del “sì”. La campagna referendaria si è limitata a enfatizzare generici vantaggi della fusione, senza affrontare temi essenziali per i cittadini. Quali benefici avrebbe realmente portato l’unione? Come si sarebbero distribuite le funzioni amministrative tra i tre comuni? Quali investimenti sarebbero stati destinati per migliorare la qualità della vita? Questo vuoto di contenuti ha privato il processo di una reale legittimazione democratica, alimentando il disinteresse generale e una sfiducia diffusa.
La Regione e il futuro delle fusione
La sconfitta colpisce duramente la Regione Calabria, promotrice del referendum, e in particolare tutti coloro che hanno mantenuto un basso profilo durante la campagna. Nonostante il sostegno pubblico dell’on. Mario Occhiuto, fratello del governatore Roberto Occhiuto, uno dei più attivi e convinti sostenitori del “sì”, il lavoro svolto da lui e da alcuni esponenti del centrodestra nella città bruzia non è riuscito a incidere in modo significativo sull’elettorato della coalizione. La sua azione non è stata sufficiente a mobilitare consensi, né a generare un entusiasmo tale da invertire l’inerzia di un progetto percepito come poco chiaro.
Anche l’opposizione, frammentata e incapace di trovare un fronte unito, ha contribuito al risultato negativo. Pur criticando il progetto di fusione, il centrosinistra non è riuscito a proporre un’alternativa convincente che potesse motivare i cittadini a partecipare al voto. Questa mancanza di visione comune ha finito per rafforzare l’apatia e l’indifferenza verso un tema che avrebbe richiesto maggiore coinvolgimento e progettualità.
Il referendum, più che un confronto tra idee, si è rivelato un’occasione mancata: una campagna priva di una narrazione forte e condivisa, con argomentazioni frammentarie e poco incisive da entrambe le parti. Il risultato è un voto che non solo respinge la fusione, ma evidenzia un profondo distacco tra le istituzioni e i cittadini. Ora, spetta alla politica interrogarsi su come colmare questo divario, ripartendo da un dialogo vero e costruttivo con la comunità. Nonostante l’esito negativo, il percorso della fusione potrebbe teoricamente proseguire, dato che il referendum aveva valore consultivo. Tuttavia, ignorare un risultato così netto comporterebbe un rischio politico elevato. La Regione dovrebbe ripensare l’intero processo, coinvolgendo attivamente i cittadini e i Comuni interessati attraverso un programma chiaro e condiviso.