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Il Coronavirus, in classe “infetta” anche la socialità. Procrastinare l’apertura delle scuole non sarebbe un dramma. Anzi… di Francesco Garofalo

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Il Coronavirus,  in classe,  infetta la socialità.

Leggo una miriade di commenti e post di genitori che si schierano a favore dell’apertura della scuola e altrettanti, invece, ne invocano la chiusura.

Per l’avvio delle attività didattiche alcuni genitori  si sono rivolti, perfino,  al Tar, come   in Calabria,  impugnando l’ordinanza a firma del presidente facente funzioni della Regione, Spirlì. Il tribunale ha accolto il ricorso, ordinando la riapertura delle scuole.

In questa sede non si intende esaminare la vicenda sul piano giuridico- amministrativo o ancora politico- istituzionale. Lasciamo a chi di competenza esprimersi al riguardo.

Il nostro sguardo, invece, sarà rivolto essenzialmente sugli aspetti sociali, ponendoci in primo luogo la domanda:

qual è l’utilità che traggono gli studenti dal frequentare le aule reali,  in presenza,  rispetto a quelle virtuali, frequentando e seguendo la  didattica a distanza, avvalendosi dei moderni strumenti  tecnologici?

E’ una domanda complessa che richiede una risposta articolata perché abbraccia diversi settori disciplinari  come  la pedagogia, la psicologia, la sociologia, vale a dire tutte le scienze che contribuiscono alla formazione del sapere e delle conoscenze, compreso il valore formativo e socializzante attribuito al gruppo classe, al modo di stare insieme e comunicare all’interno di un sistema in cui si possono percepire codici che sfuggono alla comunicazione virtuale. Codici importanti, letture significative che contribuiscono a  veicolare valori, norme sociali, confronti, energie utili a misurare le proprie forze al cospetto dell’altro.

E’ superfluo sottolineare come la socialità vissuta in classe e all’esterno di essa, sempre nell’ambito di un plesso scolastico, costituito di fisicità e risorse umane diverse, arricchiscono  le dinamiche relazionali da cui attingono lezioni di vita che  vanno ad integrarsi a quelle prodotte nelle aule, nei laboratori e nelle palestre.

La scuola è palestra di vita, cooperazione fornisce cultura e nel contempo fornisce spazi per allenare le conoscenze apprese  della vita.

La pandemia,  provocata dal Coronavirus ha messo in crisi  il sistema scuola, luogo di aggregazione sociale, di interazioni, di apprendimento-insegnamento, di consapevolezza di appartenere ad una comunità, che si esprime , appunto, nel rispetto di tali rapporti. Il senso di appartenere ad una comunità, in tempi  di coronavirus  affievolisce, perde di intensità.

Le distanze  fisiche imposte dalle norme e dal buon senso, il ricorso a forme coercitive che impongono di inibire il movimento fisico ( il banco di per se è strumento coercitivo del movimento), l’attenzione che il docente deve attuare per la  sorveglianza più che  alla  didattica, agisce negativamente sulla libera socialità, producendo conseguenze non indifferenti sul singolo, sul gruppo formale  costituito  in aula.

Stare insieme, oggi in questo periodo pandemico,  non fa altro che allertare ancora di più la ghiandola della paura, chiamata amigdala,  che si  trova nel cervello,  deputata a  regolare questo tipo di emozione. Questo piccolo organo, importante per la socialità, essendo particolarmente  allertato e stressato,  agisce sulla relazione, alterandone il comportamento comunicativo, aspetto ritenuto importante per una sana socialità.

Le neuroscienze ci aiutano  a comprendere ancora di più  l’importanza che riveste il cosiddetto ormone della socialità.

Ma  se all’interno del gruppo classe  dominano  stati emotivi  negativi,   gli effetti opposti si riversano nella relazione sociale e di conseguenza sugli aspetti dell’apprendimento e della formazione. La relazione tra il gruppo è caratterizzata da relazioni intense e continuative, fondata sulle condivisione di  esperienze, interessi, valori considerati importanti per il singolo e il gruppo.

Una socialità infetta, invasa  da  emozioni negative,  potrebbe  rivoltarsi contro lo stesso studente.

Pensiamo al valore racchiuso nel sorriso come strumento di socialità, inibito e nascosto dalla mascherina; pensiamo all’alterazione della voce,  al modo condizionato di  esprimersi . Le mascherine hanno  tolto la diversità che si contraddistingue proprio dalla comunicazione cinesica.   La decodificazione delle   espressioni facciali,  che rappresentano una percentuale alta nel linguaggio verbale,  non può essere percepita dall’interlocutore in quanto nascosta  da questo presidio, reso obbligatorio per contenere il contagio.

La didattica a distanza garantisce  un tipo di socializzazione diversa che presenta , in questo  particolare momento storico, positivi elementi di valutazione che non possono essere sottovalutati.  Innanzitutto è una socializzazione “sterile” nel senso che fornisce-garantisce una relazione  priva di  paura dall’essere contagiati o di contagiare. Possiamo affermare che si tratta di una “socializzazione sterile”  che  non  si discosta molto da quella in presenza in classe in quanto  conserva,  comunque,   i pilastri portanti del  suo  “processo”, del suo percorso formativo e valoriale.

I giovani  anche quando vivono la didattica in presenza, conducono una vita da digitali. Per cui essere in rete, curare la vita di gruppo attraverso  l’uso del  digitale è parte integrante del suo  quotidiano vissuto, forse ancora più incisivo di quel processo socializzante vissuto nell’istituzione scolastica.

Oggi, in tempi di pandemia,  non abbiamo studi e ricerche specifici che possano affermare che il tipo di socialità vissuto in presenza sia migliore di quello consumato via WEB. Sappiamo invece di certo  che il virus è particolarmente contagioso  e condizionante  la vita sociale. sappiamo anche  che presto  arriverà il  vaccino che non sarà una panacea ma certamente aiuterà a  rallentare le tensioni che pesano negativamente sull’agire e interagire delle persone.

Ritardare il più possibile il rientro in classe non sarebbe una sciagura per gli studenti  che sono in possesso di abilità di recupero eccezionali, fornite soprattutto dall’essere  nativi digitali, di saper utilizzare la rete per ampliare conoscenze ad ogni livello.   Siamo veramente convinti che  il tipo di socialità  realizzata in classe, in questo spaccato storico,  faccia veramente  bene alla salute psichica e  formativa dello studente? Siamo certi che la socializzazione  accentuata  via internet, in questo particolare momento, sia peggiore di quella vissuta in classe?

Personalmente sono convinto che procrastinare l’apertura delle scuole, di ogni ordine e grado, dopo le festività natalizie, avrebbe fatto bene alla salute di tutti, senza intaccare la socialità e il benessere del singolo studente e del gruppo dei pari.