Primo dicembre 1970, il nostro Paese conquista la legge sul DIVORZIO. E’ l’inizio di una grande trasformazione sociale del nostro Paese. Una vera rivoluzione soprattutto per le donne , l’avvio di una nuova coscienza sui diritti civili. Soprattutto alle donne viene riconosciuto il diritto di scegliere come e con chi vivere, rifiutando violenze e soprusi che fino ad allora venivano perpetrati nei confronti del cosiddetto “sesso debole”, dentro e fuori le mura domestica.
Una data storica che segna una rottura del modo di concepire il potere all’interno stesso del matrimonio, finora concepito come sacro e indissolubile.
Nel 1965 il deputato socialista Loris Fortuna presenta alla Camera un progetto di Legge per il Divorzio e iniziano anche le prime manifestazioni di piazza del Partito Radicale, accanto alla Lega italiana per l’istituzione del divorzio (LID). Il 1° dicembre 1970 i Radicali, il Partito socialista Italiano, il Partito Comunista Italiano e il Partito Liberale Italiano approvavano la Legge. Fu ovviamente contraria la Democrazia Cristiana, partito di ispirazione cristiana.
Il risultato registrato segna l’inizio di una profonda trasformazione nelle coscienze civili. La strada da percorrere rimaneva, comunque, ancora lunga in un Paese in cui la tradizione cattolica, i valori della Chiesa era e sono ancora fortemente ancorati nella cultura e nelle coscienze civili.
. Tra contestazioni, cadute del governo si devono aspettare più di tre anni per andare a votare per il referendum.
Presso la Corte di Cassazione vengono, infatti, depositate , 1 milione e 300 mila firme. E il 12 maggio 1974 l’Italia si reca alle urne per votare per il Referendum sul Divorzio: si doveva decidere se abrogare o meno la Legge Fortuna-Baslini. Al Referendum partecipa l’87,7 percento degli italiani aventi diritto di voto.
La Legge, con quasi il 60 percento dei no, resta in vigore.
La Legge, è stata rivista, dopo anni di discussione, nel mese di febbraio 2012. La Commissione Giustizia della Camera ha fornito il primo sì al testo sul divorzio breve (Ddl “Disposizioni in materia di separazione giudiziale tra i coniugi”), che infrange il limite di tre anni di separazione per la proposizione dell’istanza di divorzio: i coniugi dovranno attendere un anno o massimo due, se la coppia ha figli minorenni. Inoltre, prevede che la comunione tra marito e moglie si sciolga nel momento stesso in cui il magistrato autorizzi la coppia a vivere separata.
La legge n.55/2015 ha ridotto ulteriormente i tempi, permettendo il divorzio dopo un anno di separazione giudiziale e dopo sei mesi di separazione consensuale.Ancora oggi a distanza di cinquant’anni dalla sua istituzioni, si verificano modifiche, integrazioni per rendere sempre più ancora la norma alle esigenze ed ai mutamenti sociali che si regostrano nel Paese.
Si riporta la famosa legge che oggi compie cinqunat’anni dalla sua approvazione.
Legge 1 dicembre 1970, n. 898
“Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”
Pubblicata nella Gazz. Uff. 3 dicembre 1970, n. 306.
Articolo 1.
- Il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio contratto a norma del codice civile, quando, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione di cui al successivo art. 4, accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l’esistenza di una delle cause previste dall’art. 3.
Articolo 2.
- Nei casi in cui il matrimonio sia stato celebrato con rito religioso e regolarmente trascritto, il giudice, quando, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione di cui al successivo art. 4, accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l’esistenza di una delle cause previste dall’art. 3, pronuncia la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio.
Articolo 3.
- Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi:
1) quando, dopo la celebrazione del matrimonio, l’altro coniuge è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza:
- a) all’ergastolo ovvero ad una pena superiore ad anni quindici, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale;
- b) a qualsiasi pena detentiva per il delitto di cui all’art. 564 del codice penale e per uno dei delitti di cui agli articoli 519, 521, 523 e 524 del codice penale, ovvero per induzione, costrizione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione;
- c) a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio ovvero per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio;
- d) a qualsiasi pena detentiva, con due o più condanne, per i delitti di cui all’art. 582, quando ricorra la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell’art. 583, e agli articoli 570, 572 e 643 del codice penale, in danno del coniuge o di un figlio.
Nelle ipotesi previste alla lettera d) il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta, anche in considerazione del comportamento successivo del convenuto, la di lui inidoneità a mantenere o ricostituire la convivenza familiare.
Per tutte le ipotesi previste nel n. 1) del presente articolo la domanda non è proponibile dal coniuge che sia stato condannato per concorso nel reato ovvero quando la convivenza coniugale è ripresa;
2) nei casi in cui:
- a) l’altro coniuge è stato assolto per vizio totale di mente da uno dei delitti previsti nelle lettere b) e c) del numero 1) del presente articolo, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta l’inidoneità del convenuto a mantenere o ricostituire la convivenza familiare;
- b) è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970.
- b) è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970.
In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile. L’eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta.(1)
- c) il procedimento penale promosso per i delitti previsti dalle lettere b) e c) del n. 1) del presente articolo si è concluso con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ritiene che nei fatti commessi sussistano gli elementi costitutivi e le condizioni di punibilità dei delitti stessi;
- d) il procedimento penale per incesto si è concluso con sentenza di proscioglimento o di assoluzione che dichiari non punibile il fatto per mancanza di pubblico scandalo;
- e) l’altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio o ha contratto all’estero nuovo matrimonio;
- f) il matrimonio non è stato consumato;
- g) è passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della legge 14 aprile 1982, n. 164.
(1) Lettera così modificata, da ultimo, ad opera dell’ art. 1, comma 1, Legge 6 maggio 2015, n. 55.
Art. 4.
La domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, (1) del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio. Qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque tribunale della Repubblica. La domanda congiunta può essere proposta al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’uno o dell’altro coniuge.
- La domanda si propone con ricorso, che deve contenere l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso è fondata.
- Del ricorso il cancelliere dà comunicazione all’ufficiale dello stato civile del luogo dove il matrimonio fu trascritto per l’annotazione in calce all’atto.
- Nel ricorso deve essere indicata l’esistenza di figli di entrambi i coniugi.(2)
- Il presidente del tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data di comparizione dei coniugi davanti a sé, che deve avvenire entro novanta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto ed il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti. Il presidente nomina un curatore speciale quando il convenuto è malato di mente o legalmente incapace.
- Al ricorso e alla prima memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi rispettivamente presentate.
- I coniugi devono comparire davanti al presidente del tribunale personalmente, salvo gravi e comprovati motivi, e con l’assistenza di un difensore. Se il ricorrente non si presenta o rinuncia, la domanda non ha effetto. Se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata. All’udienza di comparizione, il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente poi congiuntamente, tentando di conciliarli. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione.
- Se la conciliazione non riesce, il presidente, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché, disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, dà, anche d’ufficio, con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentito il ricorrente e il suo difensore. L’ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore. Si applica l’articolo 189 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.(3)
- Tra la data dell’ordinanza, ovvero tra la data entro cui la stessa deve essere notificata al convenuto non comparso, e quella dell’udienza di comparizione e trattazione devono intercorrere i termini di cui all’articolo 163-bis del codice di procedura civile ridotti a metà.
- Con l’ordinanza di cui al comma 8, il presidente assegna altresì termine al ricorrente per il deposito in cancelleria di memoria integrativa, che deve avere il contenuto di cui all’articolo 163, terzo comma, numeri 2), 3), 4), 5) e 6), del codice di procedura civile e termine al convenuto per la costituzione in giudizio ai sensi degli articoli 166 e 167, primo e secondo comma, dello stesso codice nonché per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. L’ordinanza deve contenere l’avvertimento al convenuto che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all’articolo 167 del codice di procedura civile e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.
- All’udienza davanti al giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui agli articoli 180 e 183, commi primo, secondo, quarto, quinto, sesto e settimo, del codice di procedura civile. Si applica altresì l’articolo 184 del medesimo codice.
- Nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Avverso tale sentenza è ammesso solo appello immediato. Appena formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all’articolo 10.
- Quando vi sia stata la sentenza non definitiva, il tribunale, emettendo la sentenza che dispone l’obbligo della somministrazione dell’assegno, può disporre che tale obbligo produca effetti fin dal momento della domanda.
- Per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva.
- L’appello è deciso in camera di consiglio.
- La domanda congiunta dei coniugi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio che indichi anche compiutamente le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, è proposta con ricorso al tribunale in camera di consiglio. Il tribunale, sentiti i coniugi, verificata l’esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli, decide con sentenza. Qualora il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi, si applica la procedura di cui al comma 8.
(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 23 maggio 2008, n. 169, ha dichiarato l’incostituzionalità del presente comma, limitatamente alle parole: “del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza,” in quanto “L’individuazione di tale criterio di competenza è manifestamente irragionevole, non sussistendo alcuna valida giustificazione della adozione dello stesso, ove si consideri che, in tema di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella maggioranza delle ipotesi, la residenza comune è cessata, quanto meno dal momento in cui i coniugi, in occasione della domanda di separazione – giudiziale o consensuale – sono stati autorizzati a vivere separatamente, con la conseguenza che, tenute presenti le condizioni per proporre la successiva domanda di divorzio, non è ravvisabile alcun collegamento fra i coniugi e il tribunale individuato dalla norma.”
(2) Comma così sostituito dall’art. 98, comma 1, lett. a), D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(3) Comma così modificato dall’art. 98, comma 1, lett. a), D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
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Cfr. Tribunale, Modena, sez. II civile, sentenza 28 dicembre 2017 n° 2259.
Articolo 5.
- Il tribunale adito, in contraddittorio delle parti e con l’intervento obbligatorio del pubblico ministero, accertata la sussistenza di uno dei casi di cui all’art. 3, pronuncia con sentenza lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ed ordina all’ufficiale dello stato civile del luogo ove venne trascritto il matrimonio di procedere alla annotazione della sentenza.
- La donna perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio.
- Il tribunale, con la sentenza con cui pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela.
- La decisione di cui al comma precedente può essere modificata con successiva sentenza, per motivi di particolare gravità, su istanza di una delle parti.
- La sentenza è impugnabile da ciascuna delle parti. Il pubblico ministero può ai sensi dell’art. 72 del codice di procedura civile, proporre impugnazione limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci.
- Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
- La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell’assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Il tribunale può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione.
- Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico.
- I coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria.
- L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze.
- Il coniuge, al quale non spetti l’assistenza sanitaria per nessun altro titolo, conserva il diritto nei confronti dell’ente mutualistico da cui sia assistito l’altro coniuge. Il diritto si estingue se egli passa a nuove nozze.
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