La voglia di tornare in classe dopo il lungo periodo di lokdown non è dettato da spirito nostalgico, ma dal desiderio di stare e vivere in gruppo, per sfuggire alla noia, per divertirsi, giocare, cooperare e soffrire insieme.
La scuola non è solo insegnamento: è gruppo, energia, dinamismo, movimento, conflitto… in una parola è socialità, tendenza ed essenza necessarie per costruire diverse conoscenze.
Le emergenze, qualunque esse siano e qualunque comparto interessino, inducono a cambiamenti e ad adattamenti. Tali trasformazioni forniranno esperienze e lezioni di vita su cui le agenzie formative e socializzanti dovranno riflettere.
La scuola nell’emergenza Coronavirus, non per scelta bensì per necessità, è stata costretta ad attuare la cosiddetta didattica a distanza (DAD), sostenendo l’azione educativa e formativa con risorse, personale e strategie diversificate, improvvisate, adattate al bisogno che hanno generato implicazioni sociologiche, pedagogiche e psicologiche.
Il tutto è stato affidato al personale docente, alla sua competenza tecnologica e didattica, alla sua etica e alla sua disponibilità.
In questa sede non si intende riflettere sui risultati formativi ed educativi scaturiti dall’utilizzo esclusivo del PC e dalle moderne tecnologie. Ciascun docente si è avvalso delle proprie competenze per rendere più efficace l’apprendimento, per meglio coinvolgere il singolo e il gruppo virtuale nei processi istruttivi e costruttivi.
Ogni studente, da parte sua, si è avvalso delle proprie disponibilità e capacità per meglio seguire le lezioni a distanza.
Tutte le Agenzie educative, per contenere e contrastate la diffusione del nemico invisibile, hanno subito un danno sul piano delle relazioni sociali. La scuola è stata una vittima e in questa emergenza ha messo ancora più in risalto i ritardi accumulati nel tempo e le lacune strutturali da sempre denunciate per carenza di risorse.
Le misure del blocco delle attività in presenza, hanno ancor di più messo in risalto le criticità della scuola e il ricorso alla didattica ha distanziato gli uni dagli altri sottraendo socievolezza, cordialità corporea e mentale.
Come tutte le medaglie anche la DAD presenta diritto e rovescio.
Affermare che la didattica a distanza oppure che lo smart working (termini ormai sovrapponibili) siano alternativi al tradizionale modo di fare scuola e lavoro genera confusione e svilisce gli scopi propri dell’agenzia scuola che per sua natura rappresenta l’ambito principale dove avviene il processo di socializzazione secondario.
E’ proprio la scuola come istituzione racchiude i due ambiti in cui avviene la
socializzazione secondaria: la scuola in quanto agenzia educativa rivolta agli studenti e la sua organizzazione interna amministrativa che identifica l’ambito di lavoro, ritenuto anch’esso agenzia socializzante. Entrambi i gruppi sono formati da individui-studenti e individui-lavoratori, ma non è azzardato affermare che l’individuo è formato dai gruppi. E’ evidente che sia nella DAD sia nello smart working, venendo meno la presenza reale viene a mancare quell’ambiente fisico in cui si concretizza la socializzazione secondaria. La DAD e lo smart working forniscono un surrogato di socializzazione in quanto la comunicazione è diversa e di
conseguenza anche il modello di comportamento sociale appreso non potrà che essere diverso.
La DAD deve essere ritenuto un metodo integrativo alla didattica di classe ma non può essere considerato alternativo alla didattica in presenza; la medesima considerazione vale per lo smart working, lavoro in remoto: anch’esso deve essere adottato a seconda delle circostanze e non può essere esteso per tutti i campi e per tutti i comparti produttivi.
La scuola, in assenza dell’ambiente sociale (gruppo formale e informale), in assenza dell’ambiente fisico (l’immobile).. riduce le sue funzioni e si specializza sempre di più verso un mondo suggestivo ma sempre più virtuale.
Ecco perché la DAD non potrà mai essere un’alternativa alla lezione frontale, alle attività laboratoriali, al fare e saper fare. Tutto ciò non potrà verificarsi in quanto in essa manca l’assenza fondamentale della sua identità: manca la persona fisica, le mura delle aule, il gruppo dei pari, la mimica, la comunicazione d’insieme, delle sensibilità veicolate attraverso il toccarsi, attraverso gli odori, attraverso linguaggi non verbali che il ridotto schermo del PC non può captare. Solo l’occhio attento e scrupoloso del docente può catturare dalla sua postazione quei codici verbali e non
verbali emanati dal gruppo nel suo insieme, ritenuto vero e proprio “organismo” pulsante in cui si costruiscono dinamiche utili per costruire strategie educative includenti, solidali e stimolanti.
La DAD mozza il gesto non verbale. In sintesi toglie alla scuola la sua essenza principale, il suo effetto socializzante, teso a migliorare le condizioni dell’individuo trasformato, grazie al processo socializzante da genotipo a fenotipo, da soggetto inerme a soggetto consapevole.
Con la DAD lo studente è privato della conoscenza dell’altro e delle esperienze apprenditive fornite dal gruppo dei pari, che si forma proprio a scuola: il gruppo dei coetanei somministra apprendimenti, esperienze che nessuna altra Agenzia potrà fornire. La vicinanza fisica incentiva la possibilità dell’incontro anche esterno all’istituzione scolastica e alla gratificazione, sollecita il legame sociale, favorisce la costruzione di nuovi pensieri attraverso lo stimolo incentivante del docente che media, seleziona e coordina i saperi e le esigenze del gruppo.
La DAD priva l’istituzione scolastica, di luoghi, di presenze, di complicità, di sensazioni… che danno anima e vita al meraviglioso mondo della scuola, chiamata ogni giorno a dare significato al valore che assume la persona umana all’interno del vivere insieme, consapevole che non potrà mai esistere una cultura senza società ed una società senza cultura. La scuola, con tutte le sue storture, ancora oggi rappresenta la sintesi di queste due identità. Francesco Garofalo (sociologo)