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Crudeltà e viltà. Le responsabilità personali, delle comunità e dei gruppi. Il dramma di Colleferro.Riflessioni di Francesco Garofalo

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Il dramma consumato a Colleferro con la tragica morte del giovane ventunenne Willy Monteiro,  massacrato di botte sabato scorso dal branco fa  rabbrividire  e inorridire  le coscienze piú sensibili. La crudeltà del branco,  la  furia  devastatrice esplosa  nelle tenebre ha annientato   la bontà e  la tenerezza  racchiusa nel  sorriso del giovane Willy ed espressa  nelle sue immagini.

Lo sfregio inferto alla sua anima, prima ancora che al  suo corpo, è  una cicatrice che l’intera comunità si porterà dietro e dalla quale dovrebbe, anzi dovremmo, trarre tutti  le dovute lezioni di vita.

Abbiamo sentito, ascoltato commenti vari sul perché tanta violenza, tanta crudeltà si manifesti nella società  cosiddetta civile; da dove nasce tanta spietatezze , come   si alimenta la disumanità e cosa bisognerebbe  fare affinché il corpo venga rispettato e non trasformato in mero   strumento di guerra,  di potenza “soma” senza  psiche.

Già nell’antica Grecia ( per esempio in Omero) si differenziava  il significato di  “soma” che significa “cadavere”, dalla  “psyche”  spettro incorporeo, il fantasma.

Il corpo è materia, mentre l’anima partecipa al piano delle idee e nella fattispecie all’idea  della vita. L’anima è pertanto superiore al corpo. Le  pulsioni  negative  se non controllate dal pensiero, se non represse dai freni inibitori creano conflitti e generano disastri.  Un’anima che non risulta collegata alla corporeità è “cadavere” , destinata a proiettare sofferenze verso l’altro e verso  la comunità in cui appartiene.

La persona violenta non nasce per caso. Si costruisce attraverso l’intelletto, attraverso l’appartenenza al gruppo e alla comunità.

 

Il corpo come arma da guerra è un’ idea che affonda le radici nel passato, un retaggio del modo di concepire l’allenamento, come momento per rafforzare i muscoli  e  trasformare  il corpo a   strumento idoneo  per  abbattere il nemico  e conquistare  potere e riconoscimenti.

Ed ecco riaffiorare in queste triste,  drammatiche  vicende  il corpo come  strumento devastante, preparato, addestrato per abbattere ciò che ha di fronte, trasformato in nemico da annientare e mostrare cosi la potenza. IN ALCUNE FRANGE DELLA CIVILTA’ MODERNA, PURTROPPO, SI NASCONDONO QUESTE PERICOLOSE INSIDIE E  LE MANIFESTAZIONI VIOLENTE SOVENTE INCLUDONO QUESTI MODELLI CHE APPARTENGONO AL PASSATO QUANDO, APPUNTO, I MUSCOLI SERVIVONO PER IL COMBATTIMENTO, PER PREPARARE L’UOMO AD AFFRONTARE LE GUERRE E DOMINARE SULL’ ALTRO. Allora vi era uno scopo sociale, che inquadrato in quel contesto, aveva una sua  comprensione .

Oggi, di fronte a questi avvenimenti, emerge , invece, il fallimento dell’uomo e  della   comunità  nella quale vive e si relaziona.

Ogni violenza  è vero, è  un fatto individuale, un modo di viversi  dentro  e di cui il corpo  è una manifestazione esteriore. Ma ogni   violenza è anche un fatto sociale ’ un’azione comportamentale che si compie al fine di produrre in un altro essere una sofferenza sia fisica che psichica.

Una relazione di violenza agisce sul corpo, infrange, distrugge.

La cultura della violenza quando entra nel corpo, lo  modella in funzione dello scontro, diventa oggetto senza anima non degna di una società moderna.

Il dramma consumato a Colleferro è un fatto di un’inaudita violenza che  colpisce e interroga la comunità, i gruppi e quanti sono preposti a formare ed educare.

Mette in evidenza la crisi che esiste nelle comunità, nei gruppi  che hanno perso, nel tempo, il valore di controllo sociale  e denuncia che  avevano nel DNA.

Oggi le comunità si sono dissolte e con esse si sono disgregati quei valori che tenevano uniti la coscienza  collettiva .

L’egoismo prevale sulla coscienza collettiva, sul bene comune, tollerando prepotenze e ingiustizie che prima venivano sanzionate dalle norme sociali prima ancora che dalla legge scritta.

Le azioni violente sono sempre esistite, sono fisiologiche nel sistema sociale ma esse  possono essere contenute  se i gruppi, le comunità si riappropriano dei ruoli e delle funzioni che sono insite al significato di comunità.

La comunità  ha il compito di contribuire a formare esseri che siano in grado di percepire i membri della stessa comunità come parte di  se stessi e non soggetti da abbattere e offendere con la violenza.

La comunità, i gruppi educativi, compresi la famiglia,  purtroppo hanno delegato in modo eccessivo  ad altri  molte delle  loro funzioni. E questi altri, soventi privi di scrupoli, hanno alimentato la cultura della  violenza fisica, della  sopraffazione a scapito del rispetto di se stessi e dell’altro e della stessa comunità in cui il violento tenta di spadroneggiare, ricorrendo appunto alla forza fisica e alla prepotenza.

Confermando con ciò che un corpo  senza anima è  egli stesso  cadavere! (Francesco Garofalo)