Il dramma consumato a Colleferro con la tragica morte del giovane ventunenne Willy Monteiro, massacrato di botte sabato scorso dal branco fa rabbrividire e inorridire le coscienze piú sensibili. La crudeltà del branco, la furia devastatrice esplosa nelle tenebre ha annientato la bontà e la tenerezza racchiusa nel sorriso del giovane Willy ed espressa nelle sue immagini.
Lo sfregio inferto alla sua anima, prima ancora che al suo corpo, è una cicatrice che l’intera comunità si porterà dietro e dalla quale dovrebbe, anzi dovremmo, trarre tutti le dovute lezioni di vita.
Abbiamo sentito, ascoltato commenti vari sul perché tanta violenza, tanta crudeltà si manifesti nella società cosiddetta civile; da dove nasce tanta spietatezze , come si alimenta la disumanità e cosa bisognerebbe fare affinché il corpo venga rispettato e non trasformato in mero strumento di guerra, di potenza “soma” senza psiche.
Già nell’antica Grecia ( per esempio in Omero) si differenziava il significato di “soma” che significa “cadavere”, dalla “psyche” spettro incorporeo, il fantasma.
Il corpo è materia, mentre l’anima partecipa al piano delle idee e nella fattispecie all’idea della vita. L’anima è pertanto superiore al corpo. Le pulsioni negative se non controllate dal pensiero, se non represse dai freni inibitori creano conflitti e generano disastri. Un’anima che non risulta collegata alla corporeità è “cadavere” , destinata a proiettare sofferenze verso l’altro e verso la comunità in cui appartiene.
La persona violenta non nasce per caso. Si costruisce attraverso l’intelletto, attraverso l’appartenenza al gruppo e alla comunità.
Il corpo come arma da guerra è un’ idea che affonda le radici nel passato, un retaggio del modo di concepire l’allenamento, come momento per rafforzare i muscoli e trasformare il corpo a strumento idoneo per abbattere il nemico e conquistare potere e riconoscimenti.
Ed ecco riaffiorare in queste triste, drammatiche vicende il corpo come strumento devastante, preparato, addestrato per abbattere ciò che ha di fronte, trasformato in nemico da annientare e mostrare cosi la potenza. IN ALCUNE FRANGE DELLA CIVILTA’ MODERNA, PURTROPPO, SI NASCONDONO QUESTE PERICOLOSE INSIDIE E LE MANIFESTAZIONI VIOLENTE SOVENTE INCLUDONO QUESTI MODELLI CHE APPARTENGONO AL PASSATO QUANDO, APPUNTO, I MUSCOLI SERVIVONO PER IL COMBATTIMENTO, PER PREPARARE L’UOMO AD AFFRONTARE LE GUERRE E DOMINARE SULL’ ALTRO. Allora vi era uno scopo sociale, che inquadrato in quel contesto, aveva una sua comprensione .
Oggi, di fronte a questi avvenimenti, emerge , invece, il fallimento dell’uomo e della comunità nella quale vive e si relaziona.
Ogni violenza è vero, è un fatto individuale, un modo di viversi dentro e di cui il corpo è una manifestazione esteriore. Ma ogni violenza è anche un fatto sociale ’ un’azione comportamentale che si compie al fine di produrre in un altro essere una sofferenza sia fisica che psichica.
Una relazione di violenza agisce sul corpo, infrange, distrugge.
La cultura della violenza quando entra nel corpo, lo modella in funzione dello scontro, diventa oggetto senza anima non degna di una società moderna.
Il dramma consumato a Colleferro è un fatto di un’inaudita violenza che colpisce e interroga la comunità, i gruppi e quanti sono preposti a formare ed educare.
Mette in evidenza la crisi che esiste nelle comunità, nei gruppi che hanno perso, nel tempo, il valore di controllo sociale e denuncia che avevano nel DNA.
Oggi le comunità si sono dissolte e con esse si sono disgregati quei valori che tenevano uniti la coscienza collettiva .
L’egoismo prevale sulla coscienza collettiva, sul bene comune, tollerando prepotenze e ingiustizie che prima venivano sanzionate dalle norme sociali prima ancora che dalla legge scritta.
Le azioni violente sono sempre esistite, sono fisiologiche nel sistema sociale ma esse possono essere contenute se i gruppi, le comunità si riappropriano dei ruoli e delle funzioni che sono insite al significato di comunità.
La comunità ha il compito di contribuire a formare esseri che siano in grado di percepire i membri della stessa comunità come parte di se stessi e non soggetti da abbattere e offendere con la violenza.
La comunità, i gruppi educativi, compresi la famiglia, purtroppo hanno delegato in modo eccessivo ad altri molte delle loro funzioni. E questi altri, soventi privi di scrupoli, hanno alimentato la cultura della violenza fisica, della sopraffazione a scapito del rispetto di se stessi e dell’altro e della stessa comunità in cui il violento tenta di spadroneggiare, ricorrendo appunto alla forza fisica e alla prepotenza.
Confermando con ciò che un corpo senza anima è egli stesso cadavere! (Francesco Garofalo)