Ci sono brodi e brodi. Quello primordiale ricostruito in laboratorio da Stanley Miller, l’edonistico brodo indiano portato alla ribalta da Piero Camporesi e certi brodini insulsi che ingeriamo quando stiamo male.
E poi c’è questo zuppone di Santo Stefano, in cui il brodo cerca disperatamente di ritagliarsi il proprio istante d’aria, tra ammennicoli di padella e quadara, allucinante miscuglio di fantasie di massaie vecchie e nuove. Il pane va rigorosamente fritto al pari delle polpettine e gli ingredienti tutti, insieme spezzettati, devono essere accuratamente sistemati sul fondo del piatto prima dell’arrivo del magico fluido.
Esso ha il merito di rendere indistinto ogni tentativo di ribalta individuale, azzeramento nel piatto e anticipazione visiva di ciò che, ancora una volta, avverrà nei nostri stomaci vessati. Buona Santè a tutti.
(Matteo Dalena)