La telenovela messa in onda in questi mesi riguardo la nomina del Commissario ad acta della sanità calabrese possiede una forte dose di colpi di scena, di coreografie e aneddoti piccanti, meritevole di essere esaminata più che da esperti della scienza della politica da professionisti delle discipline psico- sociali.
Non si comprendono certi comportamenti e perfino i diretti interessati stentono a fornire chiarimenti e risposte nitide a domande semplici, collegate al loro operato e alle loro stesse esternazioni.
Il quadro che emerge dalle scenette messe in atto, divulgate in rete, offrono un quadro tanto miserevole da suscitare all’ignaro spettatore un senso di profonda pietà e compassione, di rabbia e avversione per il modo in cui viene raffigurata e gestita la sanità calabrese. Perfino le eccellenze che, comunque esistono anche in Calabria, di fronte alle tante bizzarre e stravaganti sketch confezionati sul delicato argomento, sono state oscurate a scapito dell’immagine della regione Calabria e dei calabresi. Perché si è giunto a questo degrado insopportabile? La risposta non è semplice fornirla. Ciascuno si fa le proprie ragioni e ciascuno riversa, come al solito le responsabilità sull’altro.
Debiti antichi e nuovi che si sommano forniscono una massa debitoria da capogiro verso la quale tutti i commissari straordinari nominati fino ad oggi non sono riusciti a concretizzare un piano di rientro, una ricetta valida per risanare i dissestati bilanci finanziari delle aziende sanitarie e
Il governo dal canto suo ha fornito melodie stonate, contrastanti che alla luce dei fatti evidenziati non hanno sortito positivi risultati.
Il governo, quindi, prima di procedere a individuare nuove figure professionali a cui affidare il destino del comporto sanitario, dovrebbe fornire ai calabresi, in primo luogo, chiarimenti sul perché dopo undici anni di Commissari di stato, non sia stato in grado di raggiungere gli obiettivi prefissi. E’ un dovere da parte del Governo centrale illustrare ai calabresi le motivazioni per cui non è stato possibile conseguire il risultato prefisso attraverso lo strumento commissariale, e perché si continua a perseguire la strada del Commissariamento.
Dopo undici anni è emerso che lo strumento del Commissariamento non ha funzionato anche se le figure gestionale preposte a tale compiti, possedevano e posseggono competenze e curricula di rispetto.
Il problema non è legato alla figura professionale singola bensì al sistema che si è instaurato in un settore in cui il malaffare ha preso il sopravvento, diventando cronico e di difficile guarigione.
Che fare, quindi, di fronte alla realtà descritta dagli interessati, dalle inchieste giornalistiche e giudiziarie?
Le ricette possono essere diverse, tutte traumatiche perché si tratta di effettuare operazioni chirurgiche traumatiche e terapie da cavallo in un organismo troppo provato e aggredito dal virus del malaffare e dagli intrallazzi.
Alla politica istituzionale spetta il ruolo di indicare la strada per far uscire la sanità calabrese dallo stato di profonda stanchezza in cui versa da anni. La politica, definita arte di risolvere i problemi, dia ai calabresi la possibilità di credere a questo dettato.
La politica non è chiacchiere, proclami, stratagemmi… è arte di governare. Quindi oltre alle competenze, alle esperienze è richiesto talento, virtù che la rende speciale e contribuisce a realizzare qualcosa di meraviglioso per le comunità. E allora artisti della politica governativa, dimostrate veramente di essere all’altezza del compito altrimenti consegnate le armi e affidate la gestione della sanità calabrese al governo regionale, nel rispetto delle autonomie locali e dei calabresi onesti che ancora credono nell’arte del governare.
Nei momenti di alta tensione emotiva, come quella attuale determinata dalla pandemia, potrebbero affermarsi migliori idee e progetti. Potrebbero, per il bene della Calabria e del Paese intero.( La redazione)