I tempi cambiano e anche il nostro “stile” linguistico muta, si trasforma, si integra con nuove parole inventate di sana pianta oppure importate. Il nostro dire rende più chiari i nostri concetti, più comprensibili ricorrendo a nuovi vocaboli, appresi e inventati.
Ogni anno scopriamo che il vocabolario ci consegna nuove risorse che si vanno ad aggiungere alle oltre 250 mila parole già in esso comprese.
Ma quante parole vengono richiamate dalla nostra mente per formare la frase, il messaggio e comporre il racconto?
Quante di queste parole “escono” o vengono “ storpiate”, recise, deturpandone la bellezza linguistica?
Non conosciamo la percentuale degli errori o degli orrori che si commettono nel corso della giornata nell’uso delle parole. Sappiamo, invece, come la lingua italiana parlata, ma non solo, anche scritta riportata sui social, si sia incrementata nella forma scurrile. Le parolacce inserite nei monologhi e nei dialoghi si sono moltiplicate e a fare da padrone sono quelle che si riferiscono al sesso o agli escrementi.
Il turpiloquio, la volgarità, la parolaccia che traspare dal piccolo schermo, costruita ad arte nei salotti televisivi irrompe nelle nostre abitazioni, nelle nostre case senza bussare e chiedere permesso, consentendo a tutti piccoli o grandi di ascoltare gli improperi, le offese e gli insulti incoronati con la classica parola “ c…..”, “ vaff…” “m…..”
La bestemmia trova meno ospitalità negli studi televisivi, mentre si registra un incremento all’esterno di essa, nella società “civile” sempre più rivolta verso la materializzazione piuttosto che sui valori e sulla fede religiosa.
Ai vertici delle parolacce rimane “ c….”, seguita da imprecazioni di tipo religioso che richiamano divinità.
Sono considerazioni che emergono dal vivere quotidiano, che si ascoltano dal piccolo schermo, dalla comunicazione verbale quotidiana e dalla turpitudine che viene irradiata negli spazi abitati da adulti, giovani e bambini. Sono questi ultimi i più vulnerabili alle parolacce, le vittime delle parole brutte che apprendono come si sa attraverso i meccanismi dell’imitazione.
Le brutte parole hanno un effetto dirompente sui bambini che provano piacere a ripeterle perché anche se non riconoscono il significato, colgono l’effetto immediato e diretto impresso nella stessa parolaccia.
Come tutte le cose di questo mondo anche le parole brutte devono fare il loro corso fino a quando il bambino non comprenderà il suo vero significato. A meno che la parolaccia non diventi un “prodotto fatto in casa” frutto di un “comportamento oppositivo, conflittuale e aggressivo interno al gruppo famiglia.
In tal caso la parolaccia ascoltata o letta viene ripetuta, accomodata e successivamente inserita nel linguaggio comune.
Diventa un prodotto casareccio, anche se essa nasce per offendere e quindi bisognosa di un pubblico. Ma non sempre viene utilizzata per mortificare l’altro, per sostituirla ad una sberla o ad un calcio.. Sovente viene utilizzata per rafforzare e colorire il racconto, per renderlo più piccante e trasgressivo. Ma è altrettanto vero che la parolaccia viene utilizzata sempre più spesso per esprimere aggressività, attacchi personali, per offendere l’altro.
Aristotele notava, infatti, che tra l’aischrologhia (il modello greco di turpiloquium, termine del latino cristiano) e l’azione riprovevole il passo è breve. Sia Aristotele sia Platone vietavano senz’altro la pratica dell’aischrologhia nel loro stato ideale.
La parolaccia, nata dal culto delle funzioni più basse del corpo umano, ferisce ridicolizzando anziché ferire la persona attraverso l’aggressione fisica. Assume carattere vendicativo quando si percepisce un torto. La parolaccia in quanto tale non può definirsi una vera parola ma l’espressione di uno stato d’animo affettivo: disprezzo rabbia, impazienza…
Non ha un valore prettamente letterario ma rappresenta un attacco che sostituisce quello fisico.
Ma perché le parolacce dilagano? L’uso scriteriato del turpiloquio, il ricorso continuo alle parolacce determinano certamente una decadenza lessicale e stilistica anche della politica dove- diciamolo con franchezza- anche in questi nobili ambiti il pensiero è venuto meno, le idee si sono affievolite e il turpiloquio ha preso il sopravvento. Dove, infatti, c’è pensiero non può entrare la parolaccia. Gli impulsi vengono prima del pensiero. E laddove c’è la parolaccia non potrà esserci il pensiero. Una parola è bella quando rende accattivante l’insieme. La parolaccia non serve perché blocca, ostruisce la costruzione dell’idea e del pensiero. La parolaccia non sempre viene avversata. Anzi, a volte è proprio il turpiloquio ad attirare la morbosa attenzione dello spettatore. Questo spiega come le trasmissioni televisive, ma non solo, somministrano sempre di più scontri in cui l’ingrediente della parolaccia condisce e accresce gli ascolti. La parolaccia è destinata a crescere per la funzione socio-linguistica che essa svolge, riempitiva della decadenza verso la tolleranza e il rispetto dell’altro. ( F.G.)