La pandemia da Covid 19 ha allontanato fisicamente le persone, aggravando la già precaria condizione relazionale che esisteva prima della diffusione del contagio. L’individuo, immerso nel suo mondo tecnologico, aveva già manifestato un allontanamento dal flusso delle relazioni interpersonali ( o relazione sociale), basate su aspetti affettivi diversi ( amicizia, simpatia, affetti) oppure su passatempi condivisi, su impegni sociali, professionali e cosi via.
Insomma l’ affievolimento delle relazioni sociali non nasce con la Pandemia ma ha radici lontane: nasce con la diffusione di massa delle nuove tecnologie ma soprattutto con l’introduzione dei social, delle sue applicazioni e condivisione di esperienze in rete. I nuovi metodi di relazionarsi hanno finito per condurre l’individuo fuori dalle singole e abituali postazioni informatiche, relegate in qualche angolo della propria abitazione, di utilizzare la rete anche fuori dalle proprie residenze abituali, condurlo fisicamente all’interno della società rimanendovi estraneo e avulso dalla sua realtà dinamica.
L’uomo agisce e reagisce nel monitor del proprio smartphone, invia messaggi, risolve problemi, soffre e sorride agli eventi percepiti, raccontati, resi visibili da immagini e scene registrate con la telecamera dello stesso “cellulare”. L’individuo assiste, partecipa e commenta costantemente, sempre e ovunque grazie ai nuovi e sempre più sofisticati strumenti tecnologici.
La Pandemia ha accentuato certamente l’uso degli strumenti informatici: il confinamento ha interrotto del tutto la relazione faccia a faccia, ma ha allontanato ancora di più l’individuo dalla relazione sociale, incrementando effetti negativi sul piano umano e psicologico. Le sofferenze psichiche sono in crescita tanto da richiedere l’intervento perfino dello Stato. Sostenere le spese per aiutare le persone a stare meglio, sostenendo il benessere individuale e quindi collettivo è l’ultimo ritrovato normativo. Ma come si fa a comprendere, capire quando il soggetto necessita di sostegno e come si manifesta il sintomo della sofferenza? Per comprendere, analizzare e individuare le giuste terapie sarà necessario intraprendere un processo diagnostico che richiede tempo e pazienza. Sorvoliamo su questo aspetto che richiederebbe una professionalità specifica che disconosciamo e che lasciamo quindi agli specialisti del settore. Rimaniamo nel nostro ambito di competenze e cerchiamo di comprendere come hanno inciso le deprivazioni relazionali da visus sul disagio individuale e collettivo.
Il nostro ambito sociologico ci porta ad analizzare la relazione per comprendere, utilizzando gli strumenti della ricerca sociologica, la dimensione delivery fenomeno delle sofferenze e del disagio sociale che vivono la gran parte delle persone e tra queste in modo particolare le nuove generazioni. Sono queste certamente le “categorie” più colpite del fenomeno in quanto hanno dovuto fare fatica per inibire il potenziale biologico di cui sono portatori. Hanno fatto fatica a reprimere impulsi e desideri, riversando nella rete tutte le frustrazioni accumulate a causa delle restrizioni imposte dalle norme, dalle paure e dalle angosce familiari e collettive.
La terapia per risalire la china non può essere lasciata nelle mani degli
psicologi, dei professionisti della mente, della psiche. Bisogna intervenire a livello sociale, ritornando alle frequentazioni degli ambienti di aggregazione sociale, dei gruppi in tutte le sue dimensioni, a coltivare vecchi e nuovi interessi, a ricostruire relazioni interpersonali e guardare con ottimismo anche il presente e non solo il futuro.
Sarà certamente importante disegnare percorsi di trattamento dei disturbi psicologici, sarà certamente significativo tentare di rimuovere ostacoli e promuovere cambiamenti tali da alleviare alcune forme di sofferenza emotiva, ma se non interviene un cambiamento sociale, se l’individuo non riprende le sue attività relazionali, di scambi economici e culturali, i problemi continueranno a perpetuarsi nel tempo, alimentati dalle paure e dalle angosce collettive.
E’ giunta l’ora che lo Stato centrale, le istituzioni regionali e periferiche facciano un passo indietro sulla Pandemia, abbandonino il ruolo paterno e pedagogico finora svolto per difenderci dalla pandemia e si concentrino a ripristinare le norme che onorano la libertà individuale e quelle collettive, sacrificate in questo lungo periodo di Pandemia.
Il ritorno a movimento dinamico, significa avviare un processo “socioterapeutico”, di grande significato valoriale che andrà ad incidere sulla formazione del “buon pensiero”, del benessere individuale e sociale. Credo sia giunto il momento di “ritornare” nella caotica società, ridurre gli eccessivi spazi attribuiti alla rete per iniziare a fornire humus ad un habitat sociale deprivato di emozioni e pulsioni.
La Pandemia ha fatto comprendere come sia importante l’organismo sociale, come sia rilevante frequentare gli habitat relazionali, come sia insostituibile convivere con e insieme agli altri. Solo vivendo insieme con gli altri comprenderemo chi siamo, quanto valiamo e perchè esistiamo. Siamo tutti prole di questa società, da essa non possiamo estraniarci per molto tempo perchè sarà la stessa società a determinare in ciascuno individuo quel dolore emotivo, quella sofferenza dall’assenza di relazioni, di comunicazione in presenza fisica da cui possiamo percepire emozioni che aiutano i sensi a veicolare sentimenti e affetti che la tecnologia non riesce a trasmettere.
Lo Stato faccia un passo indietro e non inibisca gli spazi di intimità, repressi e violati a causa della Pandemia. L’individuo ha bisogno di riappropriarsi degli spazi sociali e lo Stato ha il dovere di garantire questi diritti, da troppo tempo violati. Il cittadino ha il dovere che gli deriva dal rispetto delle regole di civiltà non necessariamente scritte ma inserite nel bagaglio culturale delle comunità.