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E’ giunta l’ora che lo Stato centrale, le istituzioni regionali e periferiche facciano un passo indietro sulla Pandemia. L’uomo riconquisti il piacere del sociale di Franco Garofalo

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La pandemia  da Covid 19 ha allontanato fisicamente le persone, aggravando la già precaria condizione  relazionale che esisteva prima della diffusione del contagio.  L’individuo, immerso nel suo mondo tecnologico, aveva già manifestato un allontanamento dal flusso delle relazioni interpersonali ( o relazione sociale), basate su aspetti affettivi diversi ( amicizia, simpatia, affetti) oppure su passatempi condivisi, su impegni sociali, professionali  e cosi via.

Insomma l’ affievolimento delle relazioni sociali non nasce con la Pandemia ma ha radici lontane: nasce con la diffusione di massa delle nuove tecnologie ma soprattutto con l’introduzione dei social, delle sue applicazioni e condivisione di esperienze in rete.  I nuovi metodi di relazionarsi hanno finito  per condurre  l’individuo fuori dalle singole e abituali  postazioni informatiche, relegate in qualche angolo della propria abitazione,  di utilizzare la rete anche fuori dalle proprie residenze abituali,  condurlo fisicamente all’interno della  società  rimanendovi estraneo e avulso dalla sua realtà dinamica.

L’uomo agisce e reagisce nel monitor del proprio smartphone, invia messaggi, risolve problemi, soffre e sorride agli eventi percepiti, raccontati, resi visibili da immagini e scene registrate con la telecamera dello stesso “cellulare”. L’individuo  assiste, partecipa e commenta  costantemente, sempre e ovunque  grazie  ai nuovi e sempre più sofisticati strumenti tecnologici.

La Pandemia ha accentuato certamente l’uso degli strumenti informatici: il confinamento ha interrotto del tutto la relazione faccia a faccia, ma ha allontanato ancora di più l’individuo dalla relazione sociale, incrementando effetti negativi sul piano umano e  psicologico.  Le sofferenze psichiche sono in crescita tanto da richiedere l’intervento perfino dello Stato.  Sostenere le spese per aiutare le persone a stare meglio, sostenendo  il benessere individuale e quindi collettivo è l’ultimo ritrovato normativo. Ma come si fa  a comprendere, capire quando  il soggetto necessita di  sostegno e come si manifesta il sintomo della sofferenza? Per comprendere, analizzare e individuare le giuste terapie sarà necessario intraprendere  un processo  diagnostico che richiede tempo e pazienza. Sorvoliamo su questo aspetto che  richiederebbe una professionalità specifica che disconosciamo e che lasciamo quindi agli specialisti del settore.    Rimaniamo nel nostro ambito di competenze e cerchiamo di comprendere come hanno inciso le deprivazioni  relazionali da visus sul disagio individuale e collettivo.

Il nostro ambito sociologico  ci porta ad analizzare  la relazione per comprendere,  utilizzando gli strumenti della ricerca sociologica,  la dimensione delivery fenomeno delle sofferenze e del disagio sociale che vivono la gran parte delle persone e tra queste in modo particolare le nuove generazioni. Sono queste certamente le “categorie” più colpite del fenomeno in quanto  hanno dovuto fare fatica per  inibire il  potenziale biologico di cui sono portatori.  Hanno fatto fatica a reprimere impulsi  e desideri, riversando nella rete tutte le frustrazioni accumulate a causa delle restrizioni imposte dalle norme, dalle paure e dalle angosce  familiari e collettive.

La terapia per risalire la china non può essere lasciata nelle mani degli

psicologi, dei professionisti della mente, della psiche. Bisogna intervenire a livello sociale, ritornando alle frequentazioni degli ambienti di aggregazione sociale,  dei gruppi in tutte le sue dimensioni, a coltivare vecchi e nuovi interessi, a ricostruire relazioni interpersonali e guardare con ottimismo  anche il  presente e non solo il futuro.

 

Sarà certamente importante disegnare percorsi di trattamento dei disturbi psicologici, sarà certamente significativo tentare di rimuovere  ostacoli e promuovere cambiamenti tali da alleviare  alcune forme di sofferenza emotiva, ma se non interviene un cambiamento sociale, se l’individuo non  riprende le sue attività relazionali, di scambi economici e culturali, i problemi continueranno a perpetuarsi nel tempo, alimentati dalle paure e dalle angosce collettive.

E’ giunta l’ora che lo Stato centrale, le istituzioni regionali e periferiche facciano un passo indietro sulla  Pandemia,  abbandonino  il  ruolo paterno e pedagogico  finora svolto per difenderci dalla pandemia   e si concentrino a  ripristinare  le norme che onorano la libertà  individuale e quelle collettive, sacrificate in questo lungo periodo di Pandemia.

Il ritorno a movimento dinamico, significa avviare un processo   “socioterapeutico”,  di grande significato valoriale che andrà ad incidere sulla formazione del  “buon pensiero”, del benessere individuale e sociale.   Credo sia giunto il momento di “ritornare” nella caotica società, ridurre gli eccessivi  spazi  attribuiti alla rete  per iniziare a fornire humus ad un habitat  sociale deprivato di emozioni e pulsioni.

La Pandemia ha fatto comprendere come sia importante  l’organismo  sociale, come sia rilevante  frequentare gli   habitat relazionali, come sia insostituibile convivere con e insieme agli altri. Solo vivendo insieme con gli altri  comprenderemo  chi siamo,  quanto valiamo e perchè esistiamo. Siamo tutti  prole di questa società,   da essa non possiamo estraniarci per molto tempo perchè sarà la stessa società a determinare in ciascuno individuo quel dolore emotivo,  quella sofferenza  dall’assenza di relazioni, di comunicazione in presenza fisica da cui possiamo percepire emozioni che aiutano i sensi a  veicolare sentimenti e affetti che la tecnologia non riesce a trasmettere.

Lo  Stato faccia un passo indietro e non inibisca  gli spazi di intimità, repressi e  violati a causa della Pandemia. L’individuo  ha bisogno di riappropriarsi  degli  spazi sociali e lo Stato ha il dovere di garantire questi diritti, da troppo tempo violati. Il cittadino ha il dovere che gli deriva dal  rispetto delle regole di civiltà non necessariamente scritte  ma  inserite nel bagaglio culturale delle comunità.