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5 febbraio 1783 – Un violentissimo terremoto rade al suolo Reggio Calabria e Messina . Si stima che siano stati almeno 30 mila i morti causati dallo sciame sismico che ha cambiato per sempre la morfologia del territorio

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Nel 1783 Calabria e Sicilia vengono  colpite da uno spaventoso terremoto,  ricordato come una delle maggiori catastrofi mai avvenute   in quell’area.   Denominato anche  terremoto di Reggio e Messina  l‘intensa sequenza sismica colpisce l’area dello stretto di Messina e la Calabria meridionale, culminando con 5 forti scosse, superiori a Mw 5,9, tra il 5 febbraio e il 28 marzo 1783. E’ considerata la più grande catastrofe sia a livello economico e sociale  del Mezzogiorno nel XVIII secolo. 

Un’antica incisione che illustra i danni che il sisma ha causato nelle città di Reggio e Messina ( foto wikipedia)

Il sisma rade al suolo le città di Reggio e Messina. Oltre a causare danni immensi  alle due città dello stretto  il  maremoto  provoca anche effetti sul piano politico sia a livello economico e sociale. (l’istituzione della cassa sacra e il primo regolamento antisismico d’Europa).

Secondo Giovanni Vivenzio la prima scossa  si manifesta  il 5 febbraio “all’ore diciannove, ed un quarto d’Italia, che corrispondevano in detto giorno a tre quarti d’ora circa dopo il mezzodì dell’Oriuolo Francese… La notte di detto giorno venendo il sei all’ore sette, e mezza d’Italia replicò altra forte scossa…”. Nicola Leoni racconta: «udissi improvvisamente nelle più profonde viscere della terra un orrendo fragore; un momento dopo la terra stessa orribilmente si scosse e tremò

La prima scossa  dura  2 minuti, e manifesta  l’ epicentro a  Oppido Mamertina. La città viene completamente rasa al suolo e ricostruita dopo pochi anni qualche chilometro più a valle. Oppido,come si chiamava allora,perde quasi 5.000 dei suoi abitanti. L’INGV  stima la magnitudo di questo primo, forte evento sismico, in 7.1 (uno dei terremoti più forti della storia sismologica italiana). All’evento principale si attribuisce un’intensità pari all’undicesimo grado della scala Mercalli. Alla scossa del 5 febbraio  segue un’altra  il 6 febbraio con epicentro a nord di Messina, stavolta con magnitudo 5.9.

Fra il 5 ed il 7 febbraio vengono  contate ben 949 scosse alle quali seguono  alle ore 20 del 7 febbraio una nuova scossa, di magnitudo 6.7 con epicentro nell’attuale comune di Soriano Calabro.

Nel mese successivo, si susseguono scosse di intensità sempre decrescente, ma le più forti  si verificano  il  1º marzo 1783, di magnitudo 5.9 con epicentro nel territorio di Polia, e quella ancora più forte del 28 marzo, di magnitudo 7.0 con epicentro fra i comuni di Borgia e Girifalco. Il numero dei morti è stimato intorno alle 50.000 persone e i danni furono incalcolabili.

Le scosse  continuano  spostando l’epicentro dal sud della Calabria risalendo lungo l’appennino verso il nord della regione. Questa devastante sequenza sismica causa danni elevatissimi in una vasta area comprendente tutta la Calabria centro-meridionale dall’istmo di Catanzaro allo Stretto, e, in Sicilia, Messina e il suo circondario.

 

Dalla «Lettera del Sig. Andrea Gallo Professore di Filosofia nella Città di Messina al P. D.n Michele Agusti lett.e della medema facoltà nel regio Monastero di Monte Oliveto di Napoli. Pubblicata http://www.storiamediterranea.it/public/md1_dir/b1373.pdf

Amico Carissimo, dalla distrutta Messina lì 18 marzo 1783. Voi chiedete a me l’impossibile quando mi domandate un distinto, e circostanziato dettaglio del flagello de terremoti accaduti in Messina con i fenomeni che l’ hanno accompagnato Egli è scorso già un mese dacché cadde Messina, e pure doppo un mese e così alterata ancora la mia fantasia che dubito di me stesso, e del mio raziocinio. Ma a solo oggetto di ubbidirvi, vi descriverò alla rinfusa quanto mi suggerirà la mia memoria, pregandovi a riformare con il vostro filosofico discernimento tutto ciò che non bene va d’accordo colle teorie fin’ora escogitate. Piovoso e freddissimo fu il passato autunno, ed i venti spirarono sempre tra Libeccio, Ponente, e Maestro, e se alle volte spirava lo Scirocco ciò accadeva con una istantanea mutazione turbinosa di pochissima durata. Compariva l’orizonte pria del nascere del sole, e doppoche egli tramontava carico di spesse nuvole, che si ascendevano per lungo fra il Levante, estivo, Scirocco, e mezzo giorno. Secco e temperato fu il cominciar dell’inverno, e se varie pioggie caddero nello scorso Gennaro furono desse tempestose subitanie, e spinte da soli venti fra l’Austro, e mezzo giorno; il calore dell’ aria potea dirsi piutosto temperato che freddo, giacché cessando le pioggie i raggi del sole erano brugianti e forti. Turbinosi continuarono i venti, tempestoso il mare, e con qualche irregolarità le maree di comunicazione, e osservandosi nel vortice della nostra Cariddi un estraordinario bullore delle acque, ed un non frequente mormorio. Ma a tutto ciò niente si fissava la nostra attenzione, e forse io sarò stato il solo che per mera filosofica curiosità abbia su di ciò fatta alcuna passegiere riflessione. Pria del passato gennaro dissi ad alcuno de miei amici, che attesa la costituzione del nostro clima, e le troppe frequenze che di 200 anni a questa parte si osservato de terremoti dubitavo di alcun scuotimento di terra, ma era quello un semplice mio dubio, un presaggio niente fondato, un’idea oscura, e confusa nata da un panico timore, non mai un pronostico appoggiato a fisiche ragioni, o ad esperienze irrefragabili: infatti passato il mese di Gennaro trovai così tranquillizato il mio spirito che niente più pensavo al terremoto avvenire. Il giorno 5 Febraro, giorno infausto, e funestissimo per Messina alle ore 18.48 cominciò a scutersi la terra, da prima leggermente, indi con forza tale, con tal muggito, e con movimento così irregolare, che il suolo vedeasi ondeggiare, le muraglie muoversi da ogni lato, urtarsi insieme negli angoli delle strade, cadere i tetti, ed i solai, titurarsi le mura, rompersi gli archi, e senza cessare il terribile movimento con tre, o quatro continuati scuotimenti, che si succedettero l’uno, all’altro, rovinarono le case, caddero i superbi Palazzi, si precipitarono le Chiese, ed i campanili, si aperse con lunghe fenditure il suolo, si abbassò in più di un luogo il terreno, uscì dall’apperture in varie parti una visibil fiamma, che lasciò arse, e tinte di bitume le pietre, si ruppero le Montagne vicine alla Città, ed il mare inalzandosi sopra l’ ordinario livello, entrò sopra il molo del nostro Porto, 3 AST – Corti straniere – Due Sicilie – Addizione, mazzo 3 fregò con impeto contro i Palazzi, indi tornato indietro lasciò ricoperto dalle sue acque una buona parte di quel terreno del Teatro Marittimo nel sito di rincontro alle Reggie Dogane. Fuggirono dalle loro case gli abitanti atterriti, e chiedendo a Dio misericordia scorrevano confusi quà, e pelle strade senza sapere dove si andassero, nel mentre dall’uno, e dall’altro lato vedevano piombarsi sopra le fabbriche, e vacillarsi sotto ai piedi il terreno, finché ridottisi tutti ne piani, e nelle vie più spaziose, e larghe della Città con la morte innanzi gli occhi, con le lagrime sul ciglio, con lo spavento nel cuore, si viddero perseguitati non solo dalla terra che continuò in ogni momento scuotersi, ma dal cielo istesso che con vento impetuosissimo tra Ponente, e Maestro si annebbiò di dense nuvole, le quali scaricarono una dirotta pioggia di acque e di grandine. Qualonque pennello di purissimo Dipintore, qualonque penna di eloquente Scrittore gionger non possono mai a colorire, ad esprimere il terrore, la confusione, e lo spavento di questi miseri Cittadini, cercava ciascuno lo scampo, e molti nel cercarlo incontrarono la morte, altri pendoloni su le travi, altri su le soglie d balconi, e delle porte, da dove con lunghe scale, e con corde scesero a stento per scampare la vita; ed altri miseramente perirono sotto le mura o delle proprie abitazioni, o delle case che addosso gli caddero nell’ andar pelle strade. Coloro che illesi rimasero procurarono in tutto il resto del giorno prepararsi un asilo pell’imminente notte. Fra le piazze maggiori della Città, e nelle pianure che fuori le mura la circondano si videro in un momento innalzate delle piccole mal costrette capanne, e delle tende formate di stracci, e robbe sottrate dalle rovine, ed ivi a dieci, a venti, a trenta uniti i Cittadini, e strettisi indistintamente si giacquero su ‘l nudo suolo. La terra intanto non cessava di continuamente tremare, e un orribile muggito come di grossa bombarda che si disperse nel profondo seno della terra, dava di tempo in tempo delle scosse ora più forti ora più leggiere finché alle 7 della notte con un’inesplicabile fragore tornò così strepitosamente a tremare, che fe’ crollare da cima a fondo tutto il più di quelli edifizi quali benché aperti, slogati, e vacillanti si reggevano tuttavia all’ impiedi. Caddero le forti mura del Duomo, cadde il superbo campanile, il Real palazzo, gran parte del grande ospedale, il Seminerio, l’Arcivescovado, i Conventi, i Monasterj il dipiù de Palazzi del Teatro Marittimo, che ancor caduti non erano, ed una quantità indicibile di muraglie delle case particolari. Tornò in quel punto a rigonfiarsi il mare, e con fragore indicibile sormontò le sue sponde e segnoché nel braccio del Pelloro vicino la Torre del Faro, passò a mescere le sue acque con quelle del piccolo Lago detto il Pantino, portando seco al suo ritorno le spoglie delle povere carette che vi erano, gli uomini, gli animali, e le barche che incontrò nel suo passaggio, sospingendoli sino alla metà del Canale, lasciando su quelle terre inondate una quantità ben grande di pesci di varie specie. Dalle ore 19 circa del descritto giorno 5 sino al seguente giorno 6 febraro a tutta la mezza notte furono così continuati, e frequenti i terremoti che non passava dall’uno, all’altro il corto spazio di 12 o15 minuti, e così seguitarono nell’ appresso giorno 7, sebbene non così frequentemente; ma ciò fu un male peggiore, giacché quelle materie che altre volte a poco a poco scoppiavano in esso giorno verso le ore 22, tutte in una volta scoppiarono, e decisamente da cima a fondo destrussero Messina. Sollevossi dalla Città una densa nuvola di polvere che oscurò tutta l’ aria e si videro le pietre cozzarsi l’una contro l’ altra, e frantumarsi in modo come se forte pestello in un mortaio triturate si fossero. Non vi è muraglia caduta a terra le di cui parti congionte siano insieme, ma tutto si è ridotto ad un mucchio di pietre, e di calcina, restano a non mentire alcuni pochi edifici, e parte di antiche muraglie tuttavia inalzati sul suolo, ma così aperti, fracassati, e fuor di piombo, che reca maggior terrore il mirar queste, che quelli già caduti, e già giacenti a terra. Quanta sia stata la perdita delli cittadini che perirono in questa funesta circostanza non è facile il poterlo assicurare; crederei, che non oltre passi il numero di 500, giacché il terremoto accadde in ora che tutti trovavonsi in stato di poter fuggire, e le fabbriche non rovinarono nel primo istante, ma nello spazio di tre, quatro, e cinque minuti dando nel moto istesso manifesto indizio della declinazione che andavano a prendere, cause per cui la gente tutta, ancorché atterrita pell’istinto naturale di salvarsi slargavasi, fuggiva, e garantivasi dalla grave rovina. Quel che può dirsi così verità si è che di quelli siano sopravissuti una quarta parte è stata ferita, e malmenata. Eccovi rozzamente descritta la infausta tragedia accaduta in Messina, la distruzione delle cui fabbriche supera il valore di 15 milioni di scudi, e la devastazione, perdita, e rovine de mobili, mercanzie, gioie, ori, argenti, e danari altrepassa a mio credere il valore delle fabbriche stesse. Frattanto le scosse sono continuate tutto il dì 3 del corrente, facendosi sentire quatro, cinque volte in ogni giorno con precedere il solito profondo mugito della terra, quando più grande, meno forte. L’ aria si è mantenuta carica di nebiosi vapori che rossegiano, e quai s’ infiammano al nascere ad al tramontare del sole, e questo no è mai apparso in questi giorni, co’ soliti suoi raggi coloriti, ma sempre torbidi, e biancheggianti. La notte 10 febraro videsi intorno alla Luna un luttuoso Parelio a stento illuminato de suoi torbidi raggi. I venti spirano al solito tra Libeccio, e Ponente, e Maestro sempre turbinosi, repentini, e violenti con interrotte pioggie, il caldo, ed il freddo, è irregolare, e seguita in un giorno le istantanee mutazioni di un’aria sempre terribile, e minacciante. Il mare sempre bullente, e tuttochè non si frange con onde impetuose sul litorale, mormora con fragore non ordinario, e quasi di tempesta. Dicesi che il Mongibello, ed il Vulcano abbiano in questi ultimi giorni eruttato dalli loro crateri quantità grandissima di fuoco. Faccia Dio che siano quelle delle vie per disviare dalle viscere della terra quelle cause che sembrano volerci subbissare. Degno delle vostre filosofiche meditazioni mi sembra quel tremore, e scotimento che in tale circostanza soffre il corpo umano in tutta la sua raggione muscolosa, e nell’ intiero sistema nervoso. So che i corpi posti sopra un altro corpo urtato, e mosso, ricevano per comunicazione la loro porzione di moto, a proporzione delle loro mosse, e delle loro forze d’inerzia, ma quel moto tanto dura in essi, quanto durar poteva nella causa movente. Nei terremoti può sembrarmi, che preceda in noi la detonazione del sistema nervoso, ed in conseguenza il tremore de muscoli al moto della terra, ed a questo segue poi la convulzione anche doppo cessato il movimento. Sò quanta gran forza abbia in noi la fantasia alterata dal timore, e sò ancora quanto questa influisca sopra il fisico: ma quando io osservo che il medemo fenomeno accadde regolarmente in tutti, tanto in quelli di robusta, che di debole compresione, negli omini di gran coraggio, negli ragazzi, nelli giovani, ne vecchi, sembrami che non debba esser questa operazione di sola fantasia. Aggiungete che gli stessi animali brutti, anche loro presagiscono il terremoto, si scutono, alzano la testa in alto, anelano il respiro con dificoltà, nitriscono, belano, muggiscono, meolano, per gli uccelli svolazzano, si dimenano, e cercano di scappare via; ho veduto io stesso le ocche marine unirsi a turme innumerabili, e girare su le acque del nostro mare. I passeri volare smarriti quà e là nell’aria senza quasi posarsi su le cime degli alberi, e su le muraglie. Or tante cose insieme mi fan giudicare che nell’atto del terremoto scappi, ed esca dalla terra un flogistico, infiammabile o uno spirito qualonque siasi, che invada, e penetra tutti i corpi che incontra: siasi questo un fuoco elettrico, od elementare, siasi un’ aria flogistica, infiammabile, siasi insomma ciò che voi volete, a me sembra certo che gli animali restino dal terremoto ugualmente afflitti nel loro corpo, che la terra nella sua massa. Egli è costante il fenomeno del terremoto disordina il sistema nel quale trovavansi precedentemente gli elementi, dunque deve esser vero che anche il corpo umano debba soffrire nel fisico delle impressioni corrispondenti alla forza, ed efficacia della causa movente, ed in conseguenza lo spirito che nel corpo è imprigionato debba sconcertarsi , ed opprimersi. Da questa teorica quale fissar non voglio la vera causa, pregovi a dedurre per ultimo corollario lo stato miserabile in cui mi trovo. Stò adesso a voi scrivendo, e parmi che tutto si mova, e tremi, ed appena mi avvedo che il tremore e più nelli muscoli del mio corpo, che nelli corpi che mi circondano. Se vado a coricarmi non trovo riposo alcuno, e se il sonno viene a serrarmi le stanche pupille i sogni sono pieni di larve, e di terrori. Dissi avanti che le scosse erano durate tutto il giorno 3, giacché il giorno 4, 5 e 6 non eravamo stai tormentati, ma la notte delli 6 alle ore 8 ricominciarono di bel nuovo sebbene leggerissime, ed oggi che siamo lì 8 marzo di sabbato ne abbiamo già intese altre due, ma una verso le 8.15, e l’altra verso le 14 di questa mattina. Gradite intanto questa mia qualunque siasi relazione scritta scorrettamente a solo fine di ubbidirvi, e datemi la consolazione de vostri cari comandamenti alli quali rassegnandomi resto Vostro aff.mo amico A.G.»4

.Il terremoto di Messina del 1783 DAI DOCUMENTI DELL’ARCHIVIO DI STATO DI TORINO A CURA DI ALBERICO LO FASO DI SERRADIFALCO