Anche quest’anno le celebrazioni del 25 aprile a causa della pandemia, subiranno delle severe limitazioni. Ma le iniziative che possono essere intraprese per onorare la memoria dei giovani partigiani calabresi possono essere diverse e tutte possono regalare alle comunità locali momenti di profonda riflessione e di sincera gratitudine nei confronti di chi ha dato un rilevante apporto di energie alla lotta di liberazione, contribuendo ad affermare nel Paese, nelle istituzioni, la gioia di vivere i valori della libertà e della democrazia. La rete è uno dei strumenti per veicolare pensieri, gesti e impegni in favore della costruzione di libertà, verso i valori che ruotano intorno alla ricorrenza del 25 aprile. La rete è un luogo virtuale per divulgare e ricordare come un’alta percentuale delle formazioni partigiane fosse composta da calabresi che combatterono in Piemonte, sfatando l’opinione che i merdionali non avessero contribuito alla lotta di Liberazione e all’affermazione dell’Italia repubblicana. Sovente si è trattato di giovani di leva, assegnati nelle regioni del Nord che, per credo e fedeltà agli ideali della libertà, abbracciarono la lotta partigiana, sostenuti da famiglie del luogo nel sostentamento solidale, abbattendo la cultura del pregiudizio e dell’esclusione da parte di chi tenta di far emergere elementi di separazione tra Nord e Sud. Tra questi giovani di leva che parteciparono alla lotta partigiana e che furono testimonianze vive ed educative dei processi di umana solidarietà tra Nord e Sud, di divulgatore dei valori delle libertà individuali e collettive e del rispetto verso tutte le diversità come fonte di ricchezza socio culturale, si annovera mio Padre, Eugenio Garofalo (nella foto) a cui lo scorso anno la sezione Associazione Partigiani di Cosenza, ha dedicato una bellissima pagina, ricostruendo la memoria, arricchita da particolari inediti, documentati da fatti che onorano la gente di Calabria, la gente del Sud che ha contribuito a conquistare la libertà e la democrazia, garantendo a tutti la libertà di pensiero e di parola. Sovente, purtroppo, alcuni personaggi noti del giornalismo utilizzano la loro penna e la libertà di parola per bistrattare questa nostra amata terra di Calabria, dimostrando di non conoscere la forza, le intelligenze e il coraggio racchiusi nelle comunità che hanno affrontato a viso aperto le minacce ed i soprusi della dittatura, combattendo anche nelle terre piemontesi e del centro nord, senza tentennamenti e con spirito solidale. La Calabria e il meridione del paese meritano rispetto di fronte alla storia e di fronte all’unità del Paese. Orgoglioso di essere nato al Sud, fiero di aver avuto un padre Partigiano che nel Piemonte, nelle zone del vercellese, ha lottato per la libertà, ottenendo- come dimostra la corrispondenza- grande solidarietà dalle famiglie piemontesi con cui rimase legato fino al decesso. Grazie Anpi, grazie italiani, dovunque vi troviate che lottate per le libertà, per la pace e la giustizia sociale. In sintesi per le conquiste scritte nella nostra Carta Costituzionale e nelle coscienze degli uomini e delle donne libere.
Come calabresi e meridionali abbiamo il dovere di ricordare a quanti ironizzano, disprezzano questa terra e i suoi abitanti che furono migliaia i giovani che diedero un rilevante apporto di sangue alla lotta di liberazione. Sebbene gli eventi più rilevanti si svilupparono prevalentemente nelle regioni del centro Nord, bisogna considerare che il contributo degli uomini e delle donne del Sud alla resistenza fu considerevole, convinto e leale. Dalla documentazione storica si evince che i partigiani meridionali furono 4.000.Tante furono le brigate guidate da calabresi; tanti furono i giovani militari del Sud che, in seguito allo sbandamento dell’esercito, combatterono con determinazione i nazifascisti.
La ricorrenza odierna rappresenta, oggi ancor di più rispetto alle precedenti edizioni, un momento di alto vaore storico, etico e morale. Evidenzia come il vissuto di ciascuno debba essere caratterizzato da un impegno civile che trascende dall’interesse del singolo e guardi al bene comune. La pandemia in atto fornisce un ulteriore momento di riflessione attorno ai grandi valori della libertà, sacrificata in parte da un nemico invisibile, che ha seminato e continua a seminare vittime e sofferenze. Mai come in questo momento storico si puo comprendere come siano importanti porre in primo piano i valori della libertà, della democrazia ed i valori racchiusi nella nostra carta costituzionale, scritta e ispirata da grandi intelligenze, formatisi nella palestra delle libertà che come l’ossigeno si apprezza solo quando manca. Oggi come ieri i nostri polmoni necessitano di respirare aria pulita, di essere alimentati continuamente da questo bene che la natura offre all’uomo e che nel contempo l’uomo deve compensare con un continuo impegno, avendo contezza che la democrazia va difesa sempre dalle minacce e dalle aggressioni che sono sempre dietro l’angolo.
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Dalla pagina provinciale ANPI Cosenza
https://anpicosenza.blogspot.com/2020/04/partigiani-cosentini-il-fulmine-di_8.html?spref=fb&fbclid=IwAR1BKhgW726lxZv7lax7PR3qFPF2t2oOpEQ5mcpz7BfY_5qFAIe7eVoVE-4
PARTIGIANI COSENTINI | Il “Fulmine” di Santo Stefano di Rogliano
Eugenio Garofalo, primo a destra |
Nel centro storico di Santo Stefano di Rogliano, piccolo centro del Savuto Cosentino, c’è un vicolo che nel 2014 è stato intitolato alla memoria di Eugenio Garofalo, patriota, partigiano combattente per la libertà d’Italia. Quella di “Fulmine” (questo era il suo nome di battaglia) è, come tante, una storia partigiana poco conosciuta. Il suo nominativo non compare tra i partigiani del Fondo ANPI Cosenza dell’ICSAIC (Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea) e nelle banche dati del partigianato piemontese (Eugenio combatte nel Vercellese dal 1943 al 1945) ma il suo status di partigiano è riconosciuto e riportato in calce sul foglio matricolare. C’è poi una ben viva tradizione orale a conservarne il ricordo.
Al centro dell’immagine la dicitura “partigiano” |
Eugenio Garofalo nasce a Santo Stefano di Rogliano (Cs) l’11 novembre del 1924 da Francesco e Chiarina Soda, entrambi contadini. La famiglia è numerosa: Eugenio ha altri sette fratelli, tirati su da Francesco e Chiarina grazie ai pochi proventi del duro lavoro nei campi. Il giovane Eugenio frequenta la scuola fino al raggiungimento della licenza elementare ed è animato da uno smisurato amore per la natura e gli animali. E’ legato in particolar modo agli agnellini allevati dai genitori in un piccolo locale annesso all’umile dimora di via Vittorio Emanuele, Vico II (oggi via della Repubblica). Ogni volta che le bestiole vengono sacrificate e vendute per il fabbisogno familiare Eugenio si dispiace ma comprende che da quegli “animaletti indifesi, simbolo di dolcezza e pace” dipende l’approvvigionamento di altri generi alimentari e indumenti.
Eugenio Garofalo a vent’anni |
Soldato di leva nel 1942, Eugenio viene mandato in Piemonte, nel Vercellese, dove contrae subito la malaria che lo costringe al ricovero in un ospedale militare. Sbandato dopo l’8 settembre del 1943 abbraccia la lotta partigiana entrando a far parte delle formazioni che si costituiscono tra Vercelli e Casale Monferrato. E’ qui che gli viene attribuito il nome di battaglia “Fulmine”, a evidenziare la sua repentinità a opporsi a ogni forma di angheria dei forti a danno dei deboli. Durante uno dei tanti rastrellamenti nazifascisti in quella zona viene nascosto dalla famiglia Dellarole tra stalle e fossi. Un particolare curioso di quel periodo è legato a una cesta di uova regalategli da un’altra famiglia piemontese. Sono una dozzina e per paura di schiacciarle durante i difficili e tortuosi cammini che lo attendono tra le montagne le inghiotte tutte e dodici contemporaneamente senza avvertire alcun disturbo. Ma più dei nazifascisti Eugenio avrà una paura matta dei topi. Una notte mentre dorme assieme ad alcuni compagni in una stalla viene svegliato dai movimenti e dai morsi di ratti “grossi quasi come conigli” che lo accerchiano. Non si libererà mai di quel trauma. Durante la lotta partigiana il suo pensiero va inevitabilmente al paese natio. Eugenio promette a se stesso che se fosse riuscito a sopravvivere alla guerra, avrebbe offerto per la festività di Santo Stefano Protomartire, il 26 dicembre di ogni anno, alcuni mortaretti, a suo dire “simboli della pace” ottenuta. Eugenio torna e mantiene la parola. Un avviso sacro recita:
“I mortaretti sono stati offerti dal partigiano Garofalo Eugenio da Santo Stefano di Rogliano”
Per qualche tempo, a causa delle difficoltà nelle comunicazioni del partigiano si perdono le tracce: i familiari pensano al peggio e il suo ritorno viene inevitabilmente salutato in maniera solenne. Dopo qualche anno Eugenio si lega in matrimonio a Santina Nicoletti e ricopre l’incarico di consigliere comunale del suo paese, trasferendo nelle istituzioni quel bagaglio ideale e valoriale che caratterizza la sua personalità forgiatasi nella Resistenza. Contemporaneamente svolge il ruolo di sindacalista all’interno della Cartiera Bilotti a Cosenza, partecipando da protagonista alle conquiste salariali del movimento operaio. In cartiera Eugenio assume l’incarico di componente della commissione interna, passando attraverso il consenso democratico dei lavoratori della CGIL della cui confederazione è espressione. Nel 1964 in cartiera perde il fratello Tonino, schiacciato da un montacarichi. Negli anni successivi Eugenio entra a far parte degli organici della Provincia di Cosenza come guardiacaccia, mansione che lo riporta a quella sua passione giovanile per gli animali e la natura da difendere da ogni forma di bracconaggio e abuso. A seguito di una lunga e brutta malattia si spegne nel 1984.
1984. Il diploma d’onore al combattente Eugenio Garofalo reca le firme di Pertini e Spadolini |